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Il 24 settembre 1972 è una data importante nella storia della Roma. Prima di campionato, la squadra va in trasferta a Verona. Ma non è questo l’appunto. Che cade, piuttosto, sulla maglia giallorossa numero 8, indossata per la prima volta in serie A da Valerio Spadoni, un ventiduenne dal talento cristallino, al quale sono sufficienti dodici minuti per mettere una firma d’autore sul suo primo gol nel massimo campionato: cross dalla destra raccolto al volo di sinistro, il suo piede preferito, e traiettoria del tiro che termina in rete sotto la traversa. Uno di quei gol che fanno impazzire chi lo realizza, compagni e tifosi.
Un inizio sorprendente, forse, solo per chi non seguiva la Roma. Già, perché nel precedente mese di giugno Spadoni, appena acquistato, aveva già mostrato le sue doti nella Coppa Anglo-Italiana (vinta dai giallorossi) segnando tre gol e impressionando il pubblico con il suo modo di giocare, incline ai dribbling, alla corsa, ai tiri in porta. Qualità che avevano colpito dapprima Helenio Herrera, che aveva fortemente insistito per averlo a disposizione, e che, in futuro, convinsero Liedholm a considerarlo un punto fermo della sua prima Roma. Fu il Barone a trovargli la collocazione più adeguata alle sue caratteristiche, sulla fascia sinistra del campo. Una zona nella quale poteva permettersi di accentrarsi con il dribbling o di scendere verso la linea di fondo, dalla quale schiudere i suoi cross ben tagliati. Quell’esordio con gol a Verona non fu un episodio isolato: nelle due partite seguenti, Valerio fece esultare i suoi tifosi con altre tre reti. Un avvio pirotecnico come quello della squadra, issatasi in autunno in vetta alla classifica senza riuscire, poi, a mantenere un rendimento analogo per il resto della stagione. Ma, a prescindere dall’andamento di quell’annata, di lui e del suo calcio rimaneva nell’aria qualcosa di gentile e raffinato. Un alone di poesia che, in fondo, rispecchiava il carattere di un ragazzo che, dai luccichii della grande città, non si fece mai ammaliare. Fu la sua fortuna quando, a nemmeno ventisei anni, fu costretto a ritirarsi per via di un brutto incidente di gioco che gli rovinò un ginocchio. Tornò in Romagna, nei luoghi tranquilli della sua primissima giovinezza e, negli anni Ottanta, aprì un negozio di fumetti. Li aveva sempre amati, soprattutto quelli che si concludono in una sola puntata, brevi come era stata la sua vita da calciatore. Che oggi ricordiamo con la tenerezza struggente con cui tornano in mente i fumetti che leggevamo in un tempo ormai lontano.
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