Franz Beckenbauer, il Kaiser che ha cambiato il calcio

Franz Beckenbauer, il Kaiser che ha cambiato il calcio

Dalla semifinale di Messico ’70 al trionfo da CT: la leggenda di Beckenbauer, eterno simbolo della Germania e della “costruzione dal basso”
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Immenso, più del dolore alla spalla, fasciata alla bell'e meglio, con cui riuscì a convivere durante la celeberrima semifinale di Messico '70 contro gli azzurri di Valcareggi. Anche in quelle condizioni, tra l'altro, non gli riusciva di non essere elegante, com'era sempre stato, indipendentemente dai ruoli che aveva ricoperto: prima mediano, ma votato all'impostazione come un vero e proprio regista, con lo sviluppo dell'intera azione già in testa sin dal momento in cui faceva partire il lancio; libero, al culmine della sua evoluzione, arretrando la posizione e rivoluzionando per sempre non solo l'interpretazione di quel ruolo oggi (apparentemente) scomparso, ma incarnando una ridefinizione delle competenze dei vari reparti nell'economia del gioco.

 

 

 

 

La costruzione dal basso, 30 anni prima

 

Con lui anche il concetto di "costruzione dal basso" veniva applicato con trent'anni di anticipo, sulle definizioni e sui luoghi comuni: è la dote e in un certo senso anche la maledizione che hanno i predestinati, quella di essere precursori. Due parole col prefisso di chi arriva prima agli appuntamenti con la storia, individuale e collettiva; per questo, poi, è in grado di cambiarla. Mescolando le linee del tempo, perché a volte bisogna concludere con un inizio per intendere appieno la grandezza di un uomo, fermiamoci al 1972, fase finale del Campionato Europeo in Belgio: la Germania Ovest del 1972, nel calcio, poteva forse vantare un “PIL” tecnico superiore a quello economico della nazione.

 

 

 

 

Una nazionale fortissima che stava “guadando” la propria storia, per così dire, due anni dopo quella semifinale mondiale persa all’Azteca contro l’Italia, due anni prima del secondo trionfo mondiale nella rassegna iridata che conquisterà in casa contro la fantasmagorica Olanda di Cruijff. Non è ancora, per il carniere dei trofei, la nazionale che farà usare a Gary Lineker, il quale del resto nel ‘72 ha soltanto dodici anni, la celeberrima frase sulla natura del calcio e le vittorie tedesche. Ma è in questo frangente storico che lo sta diventando. Declinare la selezione teutonica è come esibire un compendio di supremazia tecnica, nonché atletica: tra i pali vola e atterra continuamente Sepp Maier, portiere epocale, oltre che fortissimo; c’è il guardiano del faro, Schwarzenbeck; c’è un fenomenale terzino, sinistro anche nelle convinzioni ideologiche - ma non disdegnante gli agi del capitalismo - inesauribile nella corsa, il maoista Paul Breitner; c’è Gunther Netzer, vale a dire Sigfrido a centrocampo: atleta superbo, inesorabile ed elegantissimo nella falcata, dalla regia rotonda e dal piede gentile; la trequarti la completa Uli Hoeness, che quando sta bene parte e diventa quasi subito imprendibile, anche perché riesce ad andarsene zigzagando come se fosse un brevilineo; davanti, come abbiamo già detto, Gerd Müller è il libretto al portatore per ogni palla che viene investita nel cuore dell’area. Soprattutto, c'è lui: Franz Beckenbauer, nato l'11 settembre del 1945, che oggi compirebbe ottant'anni, il cui nome sopravvive alla consunzione della morte, avvenuta il 7 gennaio del 2024, così come il calciatore resta eterno rispetto all'uomo e alla sua finitudine, più per ciò che ha incarnato che per tutto quello che ha vinto e in questa proporzione si annida una grandezza assoluta.

 

 

 

 

I titoli di Beckenbauer

Con la Nazionale tedesca, quando è ancora "soltanto" quella dell'Ovest, Beckenbauer è dunque Campione d'Europa nel '72, del Mondo due anni dopo; nel 1986, divenuto nel frattempo CT dei Panzer, perde in Messico la Finale, tiratissima, contro l'Argentina di Maradona. Quattro anni dopo, il Muro di Berlino non c'è più, c'è una sola Germania e c'è un CT che il titolo iridato lo ha già vinto da giocatore e sfiorato da tecnico: di nuovo contro Maradona e gli argentini, lui che nella storia c'era già entrato da tempo, assurge a una dimensione epocale, perché oltre a vincere la prima Coppa del Mondo con la Germania riunificata, raggiunge Mario Zagallo nella ristrettissima élite di quelli capaci di vincerla sia da calciatore che da tecnico. Al "club" si aggiungerà Didier Deschamps nel 2018. Nel frattempo, era scomparsa quella Germania Est contro la quale lui, in quel Mondiale alla fine vinto in casa nel '74, aveva perso la più surreale delle partite, tra due selezioni di uno stesso Paese che era, però, lo spartiacque di un mondo diviso a metà.

 

Dove fu che tutto cominciò?

Dalle macerie di un Paese intero; nella fattispecie, i calcinacci del sobborgo di Giesing, oggi quartiere popolare di Monaco di Baviera. Un popolo sconfitto, umiliato dalla propria Storia e vessato dall'esterno da quelli che lo avevano sconfitto dopo sei anni di omicidi su scala mondiale. Il ragazzino avrebbe voluto giocare a tennis, ma Franz senior, impiegato postale, non può permettersi quelle lezioni da ricco per suo figlio. Non tollera nemmeno di vederlo calciare un pallone, se è per questo, perché vorrebbe che facesse l'avvocato, o l'architetto. Franz è però semplicemente troppo bravo, inizialmente come ala o addirittura come punta, nelle file dell'SC Monaco 1906. Negli anni Cinquanta, i ragazzini che in tutta la Baviera giocano a calcio sognano in primis di vestire un giorno la maglia del Monaco 1860, il club più blasonato della città. Anche il piccolo Franz Beckenbauer culla quell'aspirazione, fino al giorno in cui, nella finale di un torneo giovanile tra la sua squadra e gli allievi dei "Leoni" non si becca un ceffone da un difensore, al termine di un alterco. Sembra un episodio irrilevante, in realtà a causa di quelle cinque dita Beckenbauer per ripicca deciderà di accettare l'offerta del Bayern Monaco. Sul momento, è soltanto la scelta di un ragazzino che si sente offeso; col senno di poi, una sliding door che fa cambiare bacheca a cinque Meisterschale, ovvero cinque campionati tedeschi; quattro Coppe di Germania; tre Coppe dei Campioni; una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale. Il figlio del postino non poteva ancora saperlo, ma la sua leggenda cominciò (anche) da una guancia dolorante.

 

 

 

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