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Chiedete a qualunque milanista over cinquanta cosa ricorda di Paolo Rossi in rossonero e quello risponderà senza nemmeno pensarci: la doppietta nel derby. Fin troppo facile, la sua annata 1985-86 è tutta racchiusa in quella partita, come se Pablito fosse un Gianni Comandini qualunque. Il primo dicembre 1985, come ogni domenica, San Siro contesta il presidente Giussy Farina, colpevole di non aver abbastanza grano per sedersi al tavolo con le altre grandi. Secondo l'opinione comune, quel Milan pre-berlusconiano è “Senza il becco di un quattrino”.
Il tridente metafisico Vi-Ro-Ha – acronimo di Virdis, Rossi, Hateley – che doveva far rivivere i fasti del Gre-No-Li e permettere al Milan di dire la propria per lo scudetto, fino a quel momento si è visto poco o nulla. L'eroe del Mundial e il centravanti inglese fanno a gara a chi gioca meno. Rossi è stato l'unico acquisto estivo di peso fatto da Farina, ma la critica dubita dal primo istante sulla sua tenuta fisica e Liedholm pare non ne sia troppo soddisfatto. La prima scelta era il giovane Aldo Serena, passato alla Juve nonostante un accordo verbale tra Farina e Pellegrini dell'Inter, ma se ti ritrovi in squadra un ex Pallone d'Oro in fase crepuscolare – tipo Modric... – fai finta che sia il colpo dei sogni e ringrazi. Sperare non costa nulla.
“Il Milan non ha i soldi per acquistarmi” titolava il 22 giugno 1985 la Gazzetta dello Sport, citando l'intervista di Rossi pubblicata quel giorno, ma per il suo pupillo dei tempi del “Real Vicenza” Farina è disposto a fare carte false. Letteralmente. Il presidente sostiene addirittura di avergli suggerito quella frase per far scendere le pretese di Boniperti. La Juve chiede dieci miliardi, uno sproposito. Lentamente scende a sei e mezzo, ma sono comunque tantissimi se si pensa che il Flamengo ha pagato Zico un miliardo e otto e l'Everton ha preso Lieneker, capocannoniere in Inghilterra, per meno di uno. Pure l'ingaggio pattuito tra Rossi e Farina sarebbe il più alto mai percepito dal giocatore, ben settecento milioni all'anno per due stagioni, ma il presidente rossonero vuole provare a riaccendere gli entusiasmi. E per un po' ci riesce: gli uffici di via Turati, vecchia sede del Milan, il giorno dell'ufficializzazione sono presi d'assalto da una moltitudine gioiosa e una fiumana di cinquemila persone sciama a Milanello per festeggiare il primo allenamento di Pablito.
I milanisti si stringono attorno al capocannoniere di Spagna 1982 e lui sin dal primo giorno, con indosso un'improbabile camicia hawaiana con motivi che rappresentano palme, vulcani tropicali, danzatrici e nuotatrici e sfoggiando un'abbronzatura da crociera, sorride e dispensa vibrazioni positive: “Un sogno? facciamo due: Coppa Uefa (che è la sola che mi manca) col Milan e uno dei primi quattro posti in Messico” confida a Marino Bartoletti sul Guerino. “Paolo Rossi al Club America” scrivono addirittura i giornali messicani a giugno dopo un'amichevole tra la Tricolor e un'Italia sperimentale a un anno dai Mondiali del 1986, tanto si è svalutato l'eroe del Sarrià. Ma Giussy Farina, “presidente-amico”, lo invita anche al battesimo di sua figlia nella Tenuta di Valmora, a Massa Marittima, e sin dall'inverno 1985 ha voluto sempre e solo lui.
A Torino Rossi era ormai una specie di separato in casa. Per Trapattoni c'erano Platini e poi altri dieci, uno smacco per un ex Pallone d'Oro, e Boniperti non gli aveva mai perdonato un'infelice uscita a mezzo stampa per chiedere un aumento: “Quando dovevano sostituire un giocatore, toccava sempre a Rossi. Ci restavo male. Con i tifosi juventini non mi sono mai trovato bene, forse ha rovinato il rapporto la faccenda dell’ingaggio, quando avevo chiesto qualche soldo in più. Ormai, mi sentivo come un leone in gabbia. Meglio cambiare aria” racconta in quei giorni.
Conclusa una trattativa estenuante, il Milan deposita il suo contratto il 29 luglio e gli consegna la maglia numero dieci che fu di Gianni Rivera. Pablito, però, ha le ginocchia a pezzi. Salta la preparazione estiva e quando il 21 agosto scende finalmente in campo nel primo turno di Coppa Italia contro il Genoa, dopo trentaquattro minuti viene travolto dal suo marcatore, Claudio “Ruspa” Testoni: distorsione della caviglia sinistra con stiramento dei legamenti e gesso per tre settimane. È appena l'inizio ma è già quasi la fine. Pablito rientra solo alla nona giornata, il 3 novembre contro il Pisa. Poi dopo uno 0-0 con l'Udinese e una sconfitta a Roma, ecco finalmente il derby che sembra la svolta. Dopo i due gol decisivi nel 2-2 finale, dichiara quasi commosso ai giornali: “Mi sembrava di essere al Mundial”. Farina lo incalza scherzoso: “Con questi gol non paghi neanche gli interessi”. Sembra il prodromo di una rinascita ma Rossi segnerà solo un'altra volta in rossonero, il 12 febbraio 1986 in un Milan-Empoli agli ottavi di Coppa Italia con lo stadio vuoto e i rossoneri eliminati da una squadra di B. Quella volta non sembrava sicuramente il Mundial. Di fatto, ad appena ventinove anni, la carriera da calciatore di Rossi sprofonda dopo quei due gol all'Inter. Il Milan passa a Berlusconi che decide di cederlo al Verona per arrivare a “Nanu” Galderisi e pure il Mondiale è un pianto: Bearzot lo porta in Messico, ma non lo schiera mai per i soliti guai fisici. Nel suo ultimo campionato con gli scaligeri segna quattro gol, tre su rigore, poi si ritira. Quell'ultima estate da eroe e quel derby da mattatore resteranno le ultime grandi luci di un campione che avrebbe meritato altri finali.
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