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Venti anni senza Giuliano Fiorini. Venti anni senza il sorriso rassicurante del bomber più amato. Un nome che rievoca immediatamente passione, amore, e quella voglia di non mollare di fronte alle difficoltà e ad un destino che sembrava ormai scritto. Giuliano Fiorini è il bomber al quale i tifosi biancocelesti sono rimasti più legati. Quello al quale il pubblico si è aggrappato nel momento più difficile della recente storia del club.
Giuliano Fiorini è ancora oggi un mito per generazioni e generazioni di laziali. Chi ha vissuto la stagione del meno nove, non può che ricordarne le gesta; chi era allo stadio Olimpico il giorno di Lazio-Vicenza, quando i guanti del portiere biancorosso Dal Bianco sembravano incollarsi ad ogni pallone che viaggiava nei pressi della linea di porta vicentina, non dimenticherà mai il suo controllo, la sua girata e quella puntata capace di squarciare le resistenze vicentine.
Il gol, la corsa verso la Curva Nord, l'abbraccio con i compagni e con l'intero pubblico biancoceleste, che in quell'istante è tornato a respirare; e poi quel pianto, silenzioso, vero: un pianto disperato che nascondeva gioia, speranza e che si trascinava dietro le paure le ansie di un intero anno.
Mentre tornava in campo, Giuliano Fiorini, sembrava raccogliere le emozioni di un intero popolo. Che in quei secondi si legava in modo ancora più simbiotico alla sua figura,
Giuliano Fiorini era e sarà per ogni tifosi biancoceleste, il bomber: quello a cui i compagni si aggrappano nel momento del bisogno. La figura carismatica capace di farsi amare dal pubblico, rispettare dagli avversari e dai dirigenti della propria società. Giuliano Fiorini era tutto questo.
Non era bello da vedere. Non aveva un fisico da calciatore. Era lontano anni luce dalla classica figura del giocatore – modello che piace alle veline. E per essere un centravanti, non era neanche troppo prolifico. Ma era amato dai tifosi e rispettato dai suoi compagni. All'interno dello spogliatoio era il leader carismatico. Nelle litigate in famiglia era quello che interveniva e riportava il buonumore.
Era un calcio di altri tempi: nel quale il contatto tra il pubblico e i calciatori era sempre più stretto. Fiorini non si affidava a manager o a responsabili della comunicazione. Non aveva un social media manager che preconfezionava post asettici: era il centravanti che non si perdeva una sola cena con i tifosi; durante la settimana si fermava fino a notte fonda con loro, fumando una sigaretta o bevendo una birra in loro compagnia. Era sempre con loro...era uno di loro. In campo dava tutto, senza lesinare una sola goccia di sudore.
Giuliano Fiorini resta nella capitale solo due stagioni: ma gli bastano per restare per sempre nella storia del club biancoceleste. Arriva a Roma l'estate del 1985 e trova una Lazio in piena crisi societaria, senza un vero e proprio uomo guida. In panchina c'è Gigi Simoni. In campo, al fianco del bomber si mette in evidenza Oliviero Garlini, che grazie agli assist e alle giocate di Fiorini si laurea capocannoniere. Quest'ultimo si accontenta di soli cinque gol: tre in campionato e due in Coppa Italia.
Durante l'estate accade di tutto: il rischio fallimento, l'arrivo del nuovo presidente Calleri, la retrocessione d'ufficio in serie C, il processo sportivo e il cambiamento della prima sentenza, che diventa una condanna a morte posticipata: la Lazio resta in B, ma parte con nove punti di penalizzazione. L'epoca dei tre punti a vittoria è ancora lontana e quando mister Fascetti chiede a tutti i giocatori di rimanere e di iniziare questa avventura, usa delle parole destinate a rimanere scolpite nella storia: “Chi vuole può andarsene, ma chi resta, deve dare tutto”. Giuliano Fiorini non ci pensa su due volte ed è tra i primi ad accettare, trascinando anche il resto del gruppo.
La stagione è un susseguirsi di emozioni: Fiorini si infortuna alla seconda giornata di campionato. “Affrontavamo il Messina – dichiara ai microfoni della trasmissione Sfide, che dedica un servizio speciale sull'impresa della Lazio – ed era già un mezzo spareggio. Loro erano neo promossi e noi sapevamo che avremmo lottato fino alla fine”. Le immagini di Fiorini che esce dal campo zoppicando fanno da preludio al risultato finale: Lazio-Messina 0-1. In pratica, è come partire da meno undici.
Fiorini prende sulle spalle i compagni: segna gol tutti decisivi e trascina la squadra fino all'ultima, decisiva gara con il Vicenza. Gli uomini di Fascetti hanno un solo risultato a disposizione: la vittoria.
Quando le squadre entrano in campo c'è uno stadio stracolmo che attende da tre ore l'ingresso dei giocatori. La Lazio attacca per tutti i novanta minuti, ma riesce a trovare il gol vittoria solo a cinque minuti dal termine. Fiorini si avventa su un assist di Podavini e scarica alle spalle di Dal Bianco tutte le paure di un'intera stagione.
Le lacrime che hanno solcato il viso di Fiorini mentre rientrava in campo, sono le stesse che i tifosi hanno versato il 5 agosto del 2005, quando sono venuti a conoscenza della sua scomparsa prematura. In pochi erano a conoscenza della malattia con la quale ha dovuto lottare negli ultimi anni della sua vita. Fiorini è e resterà per sempre il bomber della Lazio più amata. Se negli anni successivi il club ha vinto scudetti, coppe e fatto emozionare migliaia di tifosi, il merito è anche, o forse sarebbe più giusto dire soprattutto, il suo.
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