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Una carriera tra Inter, Milan, Torino e Juventus e il rischio di essere ricordato per il rigore sbagliato al Mondiale 1990
Undici metri, il pallone con le grafiche etrusche posizionato sul dischetto, il volto teso, preoccupato. Di fronte Goycochea, che ha respinto il tiro di Donadoni appena prima che Maradona segnasse il 4-3. Mettendoti nella difficile posizione di chi non può permettersi di sbagliare. Il Ct Vicini ha fatto il giro di tutta la squadra e ne ha trovati tre disposti a calciare un rigore nella semifinale Mondiale. Convinto Donadoni (ahimè) sono quattro. Il quinto sei tu: Aldo Serena da Montebelluna.
Undici metri, il pallone a pochi passi di distanza, il portiere piegato sulle gambe, pronto al balzo e grande quasi come la porta. Lo guardi e capisci di avere una crisi di panico: le gambe dure, le orecchie tappate, il respiro “strano” e la testa che rifiuta di immaginare cose belle. I gol e i record con l'Inter, l'Intercontinentale con la Juventus, lo scudetto sfiorato al Torino. Nessun pensiero positivo aiuta a scacciare l'ansia. Tuo zio Giuseppe tanti anni fa è emigrato in Canada per lavorare sulle travi e costruire grattacieli a settanta metri d'altezza. A volte qualcuno si faceva travolgere dalla paura e lo facevano scendere, ma dopo poco doveva tornare lassù. Se non ce la faceva finiva tutto, non ci sarebbe mai più andato a lavorare sulle travi. Se non hai fegato, meglio che ti trovi un'altra professione. Con i rigori è uguale, lo hai raccontato al Corriere lo scorso anno. A volte un attaccante basta che tocchi il pallone e quello s'infila in porta per magia. Come nella tua stagione di grazia, la 1988-89, quando con l'Inter dei record colpivi di testa e ogni volta era gol: “Per noi e per il nostro gioco Aldo è un uomo fondamentale” ripeteva Trapattoni, che prima alla Juve e poi in nerazzurro ti ha messo al centro del suo progetto tattico.
Paragonandoti a Hateley, nell'estate 1984 Collovati aveva disegnato un ritratto perfetto di quelle che erano le tue caratteristiche ai tempi del Torino: “Due arieti, due mancini, due lottatori. Due che è meglio non incontrare. Con loro è ritornata la moda dei colpitori di testa”. Quattro anni dopo non sei più “solo” un attaccante di lotta, fatica, spallate e gol in acrobazia: cinque doppiette in campionato, il record di dieci gol di testa, ventidue gol totali – davanti a Careca e Van Basten fermi a diciannove – quattro traverse, un dominio assoluto sul campionato 1988-89. Con la faccia stupita, la sorpresa nel cuore, come se tutto ciò che hai ottenuto sia un dono inatteso. Numero undici dell'Inter dei record, bomber del campionato, in quella stagione c'è qualcosa di speciale nell'aria, che ti fa levitare a due metri da terra: “Giocavo contro la Fiorentina, era l'ultima giornata, avevamo vinto lo scudetto un mese prima, San Siro era bellissimo, un'emozione da togliere il fiato. Giocavamo a memoria, eravamo in dieci e sembrava che fossimo in quindici, eppure io avevo dentro una grande tristezza perché quella meravigliosa stagione finiva come tutte le cose belle” hai raccontato, sempre al Corriere, agli albori dell'annata che ti condurrà al Mondiale italiano. A quel rigore maledetto. Dopo quello scudetto da sogno, la concorrenza in area del nuovo arrivato Klinsmann ti toglierà certezze, facendoti piano piano scivolare verso un finale di carriera meno fortunato.
Una stagione all'Inter con una Uefa e qualche panchina di troppo e poi il Milan: due anni, poche presenze e zero gol. Chiuderai la carriera nel 1992-93 con due Scudetti in più ma poca gloria. Serena esordisce in A il 19 novembre 1978 con la maglia dell'Inter e segna subito il suo primo gol nel 4-0 alla Lazio. Mandato in prestito prima a Como e poi a Bari, nel 1980-81 raggiunge la doppia cifra in B. Nella Coppa Italia 1982, di nuovo all'Inter, segna il gol decisivo nella doppia finale tra nerazzurri e Torino, ma di nuovo non viene confermato. I nerazzurri lo rispediscono in prestito al Milan in serie B e lui si vendica segnando due gol al Mundialito nel suo primo derby. Nel 1983-84 è ancora all'Inter a fare coppia con Altobelli, ma a fine stagione viene di nuovo prestato in giro, stavolta al Torino. Segna il gol vittoria nel derby del 18 novembre 1984 e sotto la Mole rimane tre anni: uno in granata e due alla Juventus che lo acquista dall'Inter per quasi tre miliardi più il cartellino di Tardelli.
In carriera ha vinto quattro scudetti con tre squadre diverse, Juventus, Inter e Milan, ma fosse stato per lui non avrebbe girato così tanto: “Allora vigeva il regime di vincolo. Sino al 1991 non ho mai potuto scegliere. Ero di proprietà dell’Inter, che di anno in anno decideva il mio destino prestandomi a destra e a manca”. Nel 1986-87 viene ricomprato dall'Inter per volere di Trapattoni, passato nel frattempo dal bianconero al nerazzurro. “Esco sempre dal campo svuotato di energie, sono abituato a dare tutto, non tiro mai indietro il piede o la faccia” racconta ai microfoni della Rai al termine di una gara a San Siro, ma per quel rigore nella semifinale Mondiale serviva qualcosa di più. Nella finale di Coppa Intercontinentale del 1985 a Tokyo tra Juventus-Argentinos Juniors, Serena aveva segnato il terzo rigore senza problemi, ma in quell'occasione sapeva che sarebbe toccato a lui calciare ed era preparato. Il 3 luglio 1990 a Napoli, no. E sbaglia. Agnelli riteneva Aldo Serena “un buon giocatore dalla cintola in su”, ma dopo una stagione d'esordio da venti gol in tutte le competizioni si era ricreduto. Un rigore sbagliato nella semifinale dei Mondiali, invece, non si può cambiarlo, ma a sessantacinque anni conviene guardarlo per ciò che è: una nota stonata in una carriera straordinaria.
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