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Lui e Claudio Sala non sono fratelli, al contrario di ciò che parecchi appassionati di calcio, magari un po' superficiali a proposito delle parentele, pensavano negli anni in cui entrambi erano calciatori. Entrambi esordienti col Monza, entrambi protagonisti con il Torino che vinse il suo unico Scudetto dell'era "moderna". Molto più che fratelli, dunque. Consanguinei due volte per i colori sociali indossati, affratellati da un Tricolore romantico su sfondo granata intenso e da un altro scudetto perso per un punto contro la Juventus. Del resto, nella cittadina che tutto il mondo conosce grazie alla Monaca manzoniana e al gran premio di Formula Uno, Sala è un cognome parecchio diffuso, quindi era probabile che capitassero due calciatori professionisti a chiamarsi così nella stessa epoca. Un po' meno probabile che entrambi finissero al Toro. Ancora meno probabile che si ritrovassero a festeggiare una vittoria più unica che rara sotto la Mole.
Nato a Bellusco, comune monzese nell'area di Vimercate, Patrizio Sala nasce il 16 giugno 1955, 70 anni, l'età anagrafica della saggezza, lui che saggio lo era già da giovane centrocampista che abbinava geometrie razionali a una corsa incessante, tatticamente sempre redditizia, spesso riparatoria grazie ai suoi recuperi che proteggevano le spalle allo sviluppo della fase offensiva della squadra. Quale che fosse, la squadra. Prima il Monza costruito e puntellato da un giovane dirigente di nome Adriano Galliani, poi quel Torino plasmato da un giovane demiurgo della panchina, Gigi Radice, uno dei primi in assoluto a giocare (anche) a zona. Radice è l'allenatore di Patrizio Sala, nel biennio 1973-1975, quando Orfeo Pianelli lo sceglie per guidare il Torino, non ci pensa due volte a portarsi appresso quel suo mediano inesauribile e razionale. Nasce il centrocampo più completo d'Italia, con Zaccarelli e Pecci a tessere e rifinire un gioco che si apre sulle folate dell'altro Sala, il Poeta del gol, quindi sulle finalizzazioni a raffica di Pulici e Graziani.
Sei anni al Toro, 212 partite e 9 gol tra campionato e coppe, con quello scudetto inebriante e con la volata dei cinquanta punti l'anno seguente, contro i cinquantuno della Juventus. Seguono Sampdoria, Fiorentina, Pisa, quattro stagioni a Cesena, Parma e infine Solbiatese, per l'ultima stagione da calciatore, 1989-90. Poche le maglie azzurre, avendo davanti un totem come Romeo Benetti, ma in Argentina nel '78 c'era anche lui, di nuovo assieme all'altro Sala. Al Toro ci è anche tornato da tecnico, nel settore giovanile, a metà del primo decennio del Duemila. Non era soltanto un portatore d'acqua, come si dice in gergo, però nel rievocare il suo ruolo in quel Torino vincente, così si descrive in modo poetico: «Io portavo l'acqua; Claudio la trasformava in vino; Ciccio e Paolino bevevano».
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