Oscar Damiani, una vita tra calcio, arte e… flipper

Oscar Damiani, una vita tra calcio, arte e… flipper

Messosi in mostra con il Vicenza, ebbe le sue migliori stagioni con la Juventus e il Genoa. Appassionato d’arte, quando militava nelle giovanili dell’Inter si guadagnò il soprannome
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Oscar Damiani ha sempre amato l’arte, tanto da arrivare a dire, in tempi recenti, di “occuparsene più che di calcio”. Un interesse che ha accompagnato tutta la sua lunga esperienza nel mondo del pallone, cominciata da giocatore sul finire degli anni Sessanta e proseguita come procuratore dopo il ritiro dall’attività agonistica. Potrebbe sembrare un vezzo strumentalizzato al fine di distinguersi da colleghi che, salvo rare eccezioni, a una mostra non ci hanno mai messo piede. In realtà, per Oscar (Giuseppe all’anagrafe perché, nel 1950, non si poteva battezzare un bambino se non portava il nome di un santo), quadri e rappresentazioni sono da sempre una vera passione, considerando che il primo acquisto lo fece a soli diciannove anni scegliendo una vanitas di Mario Sironi. Una passione assecondata al punto di aver raccolto una collezione che, ad oggi, ha un valore a sette zeri, nella quale primeggiano le opere di colore rosso. Colore che rappresenta il trait d’union tra l’Oscar collezionista e appassionato d’arte e il Damiani calciatore. Il rosso richiama energia, vitalità, movimento: tutti elementi che possono rappresentare le caratteristiche del modo di giocare che esprimeva sul rettangolo di gioco. Damiani, infatti, era una tipica ala destra con la capacità di andare facilmente al tiro. Si muoveva agilmente, era reattivo, correva e saltava l’uomo ricorrendo a finte che, quando militava nelle giovanili dell’Inter, spinsero Giovanni Invernizzi a soprannominarlo “Flipper”, un appellativo che lo accompagnò per tutta la carriera.

 

 

 

 

Esordio col Vicenza, poi Napoli

Aveva cominciato lì, da quella maglia nerazzurra con la quale, però, non esordì mai con la prima squadra. Il suo esordio in serie A lo fece con il Vicenza il 14 settembre 1969 in un Vicenza-Napoli, finita 3-2, che lo mise di fronte alla squadra con la quale avrebbe giocato nel 1972-73 e, successivamente, dal 1979 al 1982. Per uno come lui, amante dell’arte e, quindi, del bello, Napoli rappresentò uno tuffo nel blu: difficile, nei lunedì di riposo dopo la partita domenicale, non trovarlo a passeggiare nei vicoli di Capri o a godere del sole di Ischia e Procida. Quanto all’esperienza vicentina, proseguì fino al 1974, con la sola parentesi partenopea di cui sopra. Quattro campionati, quattordici reti (oltre alle sei realizzate con gli azzurri) e un modo di giocare spumeggiante sulla fascia destra, convinsero niente meno che la Juventus a portarlo a Torino.

 

 

 

 

Juventus e Genoa

Per Damiani, a ventiquattro anni, è l’occasione della vita e non se la lascia sfuggire. Il 1974-75 è una stagione d’oro, sicuramente la migliore di tutta la carriera: con i bianconeri vince lo scudetto da protagonista e realizza, in tutte le competizioni, sedici marcature, delle quali ben nove in campionato. È anche il momento in cui arriva l’esordio in Nazionale e tutto lascia pensare che il suo futuro alla corte degli Agnelli durerà a lungo. La realtà, però, dopo un anno si rivela più aspra: la Juventus perde lo scudetto dopo un testa a testa con il Torino e Oscar viene ceduto in prestito al Genoa, magari con l’idea di riportarlo alla base l’anno successivo insieme all’astro nascente Roberto Pruzzo.

 

 

 

 

A Genova le cose vanno bene: a fine campionato Damiani mette a consuntivo undici gol, dei quali uno proprio alla Juventus. Ma il sospirato ritorno a Torino non arriva. Forse perché, nel frattempo, le cose sono cambiate: i bianconeri, sotto la guida di Trapattoni, vincono uno straordinario scudetto sopravanzando di un punto i rivali granata, oltre a vincere la Coppa Uefa. E il Trap, convinto dal nuovo assetto di squadra, non ha bisogno di Damiani, visto che Causio può giocare all’ala. La permanenza in Liguria, così, si protrae altre due stagioni, l’ultima delle quali (1978-79, in serie B) lo vede primeggiare con diciassette reti nella classifica dei marcatori. Un obiettivo che, alla soglia dei trent’anni, lo rimette in luce e lo porta una seconda volta a Napoli dove, nel 1980-81, partecipa attivamente alla cavalcata che tiene gli azzurri in corsa per il titolo fino alla penultima giornata.

 

 

 

 

Il pugno a Cabrini e gli ultimi anni

Nella delirante estate del 1982, quella che porta l’Italia a vincere i mondiali, Damiani viene scelto dal Milan per tornare immediatamente in serie A dopo l’incredibile retrocessione subita sul campo. È il suo vecchio presidente ai tempi del Vicenza, Giuseppe Farina, a portarlo in rossonero, fors’anche per un debito di riconoscenza maturato quando, anni prima, era stato Oscar a suggerirgli di prendere un ancora sconosciuto Paolo Rossi: «Nel Como praticamente non lo fanno mai giocare, ma è uno bravo» gli aveva detto del centravanti che avrebbe trascinato la Nazionale in cima al mondo. Seppur ultratrentenne, Damiani è utilissimo alla causa e, con i suoi dieci gol, è decisivo nella promozione dei rossoneri, con i quali gioca la sua ultima stagione in serie A, durante la quale si rende protagonista di un episodio inaspettato. È il 19 febbraio 1984 quando, a San Siro, si affrontano Milan e Juventus. Chissà, forse per Flipper la Vecchia Signora rappresenta una ferita ancora aperta, nonostante siano passati tanti anni dalla loro separazione, e il suo approccio alla partita non è dei più sereni. Fatto sta che, dopo appena tre minuti, Oscar si fa espellere in maniera inspiegabile per un professionista come lui: subito un fallo da Cabrini, reagisce in maniera scomposta e violenta, rifilando un pugno al terzino bianconero. È uno degli ultimi episodi sui maggiori palcoscenici del calcio italiano che fa parlare di lui.

 

 

In quello stesso anno, dopo una brevissima parentesi nei Cosmos di New York, Damiani torna tra i cadetti firmando un contratto con il Parma e, l’anno seguente, con la Lazio. Quella nella Capitale è la sua ultima stagione da professionista. Del resto, al campo di allenamento di Tor di Quinto si presenta spesso con abiti di alta fattura e il Sole 24 Ore sotto braccio: la sua carriera da procuratore è dietro l’angolo, insieme al maggior tempo che potrà dedicare alla sua passione per l’arte.

 

 

 

 

 

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