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La Spagna è per gli inglesi il luogo di vacanza per antonomasia. Qualcosa come sedici milioni di cittadini britannici si spostano ogni anno verso la penisola iberica in cerca di sole, mare, discoteche aperte sino a tardi, tapas, cervezas e sangria. Molta cerveza e moltissima sangria. Dalla costa del Sol alla costa Brava gli inglesi sciamano in sovrannumero sulle spiagge spagnole, ma c'è anche chi non disdegna una visita all'entroterra. A Madrid, ad esempio, ha appena trovato casa un pezzo di storia del Liverpool, Trent Alexander-Arnold, che a corto di stimoli dopo la Premier vinta nell'ultima stagione ha deciso di rimettersi in gioco con la camiseta blanca. Adattarsi alla nuova realtà non sarà cosa facile se si guarda lo storico dei calciatori inglesi del Real Madrid, ma la presenza del compagno di nazionale Jude Bellingham, caso raro di inglese che non ha subito il miedo escenico del Bernabeu, è sicuramente d'aiuto: come raccontato mesi fa da The Athletic, tra i due c'è una vera e propria bromance. Basta riguardare con che intesa festeggiavano i gol durante l'Europeo 2024.
Prima che Florentino Perez decidesse di comprare Jude, e quindi il suo partner in crime nelle esultanze in Germania, l'ultimo inglese a vestire la maglia del Real Madrid è stato David Beckham, che ha chiuso la sua esperienza spagnola il 17 giugno 2007 vincendo una Liga all'ultima giornata. Da quando è stato acquistato dal Manchester United per trentacinque milioni di euro nell'estate 2003, a Madrid si parla del suo arrivo come di una mera operazione di marketing. Beckham sembra solo l'ennesimo campione da aggiungere alla lunga lista di quelli già presenti in squadra, da Zidane a Roberto Carlos, da Figo a Ronaldo, solo per alzare ancora di più l'asticella dell'hype, vendere camisetas con il numero 23 (non più l'iconico 7 vestito con i Red Devils) e invogliare i rotocalchi a qualche attenzione extra. Con lui in squadra i cosiddetti Galacticos non vincono nulla o quasi per tre anni, sprofondando in un limbo di precarietà causato della mancanza cronica di equilibrio tra un attacco magnificente e una fase difensiva deficitaria. Per sistemare le cose viene richiamato al capezzale dei Blancos Fabio Capello, che a gennaio mette addirittura fuori rosa lo Spice Boy, colpevole di aver già deciso di trasferirsi a fine stagione a parametro zero ai Los Angeles Galaxy. Costretto ad allenarsi da solo, David tira fuori tutta la sua immensa professionalità e si impegna a tal punto che su pressione della squadra l'hombre vertical di Pieris lo rimette in campo. E il Real riesce a scalare la classifica sino al primo posto, conquistando il titolo per la miglior differenza reti negli scontri diretti con il Barcellona, appaiato a pari punti. Per Beckham le ultime sette partite dell'annata, da fine aprile a metà giugno, ridisegnano la sua legacy madrilena.
Lo stesso non si può dire dei due connazionali che gli affiancano in quegli anni, l'ex Leeds e Newcastle Jonathan Woodgate e il Golden Boy del Liverpool Michael Owen, Pallone d'Oro 2001. Intervistato a proposito del passaggio al Real di Alexander-Arnold, Owen ha raccontato di aver perso il controllo della propria carriera trasferendosi a Madrid nell'estate 2004: “Ho pensato che sarebbe stato più difficile non segnare. Ho pensato a lungo e intensamente di lasciare il Liverpool, ma alla fine qualcosa dentro di me mi ha detto che me ne sarei pentito se non ci avessi provato”, ma di fatto la sua esperienza in Spagna ridisegna la percezione di tutta la sua esperienza di calciatore. Con i Blancos non rispetta le attese e quello che ritorna in Premier dopo una sola deludente stagione è un giocatore già in declino. Il suo passaggio a Newcastle e al Manchester United taglia in modo netto il cordone ombelicale che lo legava ai Reds e alla Kop, rovinando un rapporto d'amore nato nelle giovanili del club.
Steve McManaman, primo ex Liverpool della serie, è senza dubbio l'inglese che ha ottenuto i risultati migliori al Real Madrid. Dopo nove anni in Reds i suoi inizi in Spagna non sono dei più facili, ma avere alle spalle uno come Roberto Carlos sulla fascia sinistra è un privilegio per pochi. Così, anche grazie alla splendida connessione tra l'inglese e il terzino brasiliano i Blancos vincono due Champions League. Macca, come è conosciuto in patria, riesce addirittura a segnare nella finale di Parigi del 2000, vinta 3-0 sul Valencia. Per raccontare l'esperienza dell'inglese di maggior successo nella storia del Real basterebbero le parole con cui l'ha descritto il suo ex tecnico Vicente del Bosque nel 2015: “Era un caballero, un gentleman, un ragazzo stupendo, sempre sorridente, non si lamentava mai. Era un grande, un leader. Andava d'accordo con tutti e univa le persone”.
Il primo inglese del Real è stato un portiere baffuto di nome Lindsey nato nel 1884, che ha giocato cinque partite nei Blancos tra il 1907 e il 1911. Di lui si sa poco o nulla se non che conquistò una Coppa di Spagna e un campionato regionale.
Più significativa e recente è stata invece l'esperienza madrilena di Laurie Cunningham, tra il 1979 e il 1982. Considerato uno dei tanti “nuovi Best” l'anglo-giamaicano disputa una buona prima stagione al Real, ma poi, come ha raccontato Paolo Valenti, si perde nel “luccichio notturno” della Movida Madrileña. Perdendosi in sciocchezze come farsi beccare fuori da un night il giorno stesso in cui lascia l'ospedale dopo essersi rotto un piede. Con Bellingham il Real ha fatto sicuramente un affare migliore e Alexander-Arnold sembra potrà rivelarsi un colpo altrettanto vantaggioso, ma per due dei milioni di british di Spagna l'alternativa a una stagione grigia nella capitale potrebbe suggerirla una vecchia canzone dei Righeira: Vamos a la playa.
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