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Una ricerca condotta dalla piattaforma di prenotazioni online MioDottore dice che il 95% degli italiani non scorderà mai il primo bacio, ma uno su quattro avrebbe preferito darlo a qualcun altro. Un'eventualità impossibile quando lo si riserva a una Champions League. L'elemento che rievoca con più facilità quel momento non è tanto la persona – o la coppa – baciata, quanto la location. A dimostrazione dell'importanza del luogo adatto quando ci si apparta, anche se di fronte hai qualche decina di migliaia di tifosi urlanti e un enorme trofeo stretto tra le mani. Dopo i sentimenti, i freddi dati statistici: nelle tre finali di Coppa dei Campioni/Champions League disputate a Monaco di Baviera ha sempre vinto una squadra alla prima volta, una ricorrenza da brividi per gli interisti più scaramantici. Se poi si aggiunge che negli ultimi due precedenti le sconfitte erano due italiane e l'unica francese ad aver conquistato una Champions l'ha fatto proprio all'Olympiastadion, allora c'è davvero da preoccuparsi.
La finale della massima competizione calcistica europea per club si è giocata a Monaco di Baviera per la prima volta il 30 maggio 1979, a quarantasei anni e un giorno dalla sfida del prossimo sabato. Era un inedito sia per il Nottingham Forest di Brian Clough che per il sorprendente Malmö, composto in buona parte da dilettanti, in cui si fa davvero fatica a trovare un elemento che abbia lasciato un segno nel calcio al di fuori della Svezia. L'unico è Robert Prytz, quattro anni in Italia tra Atalanta e Verona a cavallo tra Ottanta e Novanta. Dopo aver compiuto un'impresa eliminando i campioni uscenti del Liverpool al primo turno, il Forest si sbarazza dell'AEK Atene, del Grasshoppers e quindi del Colonia, affrontando da grande favorito la finale. Contro i biancoblù svedesi, partita trasmessa in diretta dalla tv Svizzera e da Capodistria e solo in differita di quarantacinque minuti dalla Rai, decide il gol di Trevor Francis. Un altro passerà in A tra Sampdoria e, pure lui, Atalanta. La gara è impostata da entrambe le squadre sulla difensiva e il giorno dopo il Corriere commenta: “La più brutta finale di Coppa ha denunciato la crisi del calcio-spettacolo, privo di autentiche stelle”. Piovono critiche anche sulla formula a eliminazione diretta del torneo, che ha facilitato la marcia delle due finaliste, ma nonostante tanta pochezza il calcio italiano è impiombato al nono posto nella classifica stagionale di rendimento in Europa.
Il futuro sembra nerissimo, ma nel 1992-93 è già cambiato tutto. Le inglesi hanno subito un ridimensionamento dopo i fatti dell'Heysel, la Coppa dei Campioni ora si chiama Champions League e si è ristrutturata con due gironi da quattro dopo gli ottavi, e i presidenti di Milan e Olympique Marsiglia – Silvio Berlusconi e Bernard Tapie – sono i due principali fautori di un calcio tutto lustrini, ingaggi mostruosi, campionissimi, sorrisi e spettacolo. La finale a Monaco di Baviera, però, resta una mezza schifezza, soprattutto a guardarla dal punto di vista dei milanisti. I francesi vi accedono tra mille polemiche, prima tra tutte quella che in Francia li priverà del campionato appena conquistato e della partecipazione al torneo dell'anno successivo, in seguito a un caso di combine contro il Valenciennes. Il Milan, dopo una stagione di dominio in A, arriva invece stanchissimo. I rossoneri sono pieni di rancori, dalle liti incrociate tra Capello, Gullit e Papin al fatto che solo due anni prima sono stati eliminati dai transalpini con la coda del fattaccio dei riflettori spenti del Vélodrome. La notizia peggiore, però, sono le condizioni di Marco Van Basten: pure sulla sua carriera si sta ormai spegnendo la luce, tanto che a Monaco gioca l'ultima partita. “Macché fatica, basterà imporre la nostra tattica” dichiara improvvido capitan Baresi alla vigilia, ma in quella serata tedesca va tutto storto. Il 26 maggio 1993 è sufficiente il colpo di testa su angolo del coriaceo centrale difensivo Basile Boli per avere la meglio degli “Invincibili” rossoneri, che sul campo possono recriminare solo per qualche errore sottoporta di Massaro. “Battemmo il Milan, ma eravamo dopati” dichiarerà nella sua biografia il mediano Eydelie, mentre il rossonero Papin, ex della gara, dirà addirittura che due compagni si erano venduti la partita. Ma la coppa resterà in Francia.
Altrettanto chiacchierata pure l'ultima finale di Champions disputata a Monaco di Baviera, quella del 28 maggio 1997 tra il Borussia Dortmund e la Juventus di Marcello Lippi. La terza in Bundesliga contro i migliori del mondo. È la Juve di Del Piero, Vieri, Zidane, Deschamps e Boksic – questi ultimi due in campo pure quattro anni prima con la maglia del Marsiglia – che ha vinto campionato, Supercoppa Europea e Intercontinentale, ma in finale sbatte contro l'ex Lazio Kalle Riedle, dato per bollito, e sull'arbitro ungherese Puhl. “Siamo stati puniti da tre tiri su tre e da una federazione molto più potente della nostra” dichiara Bettega dopo la gara, mentre gli ex Reuter, Kohler, Moeller e Sousa si godono una personalissima vendetta contro chi li ha ceduti. Due legni, il contropiede tedesco, due reti su palla inattiva, un rigore non dato e un gol annullato ingiustamente sono gli ingredienti di una disfatta inattesa. “Anche la Juve è una squadra di gente normale” commenta amaro Bobo Vieri a fine gara. Le due italiane sconfitte, a quattro anni di distanza, avevano condiviso l'albergo, una scelta logistica che nel sacro rispetto della scaramanzia ci auguriamo non faccia anche l'Inter, ma lo stadio della sfida del prossimo 31 maggio, ora possiamo dirlo, non sarà lo stesso. Inter-Paris Saint Germain si disputerà all'Allianz Arena, mentre i tre nefasti precedenti si sono giocati tutti all'Olympiastadion, ormai abbandonato dal grande calcio. Il proverbiale “non c'è due senza tre” dovrebbe quindi essere già stato sfatato il 28 maggio 1997 dall'odiata Juventus. Gli interisti possono interrompere ogni gesto apotropaico. Almeno sino alla partita.
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