Serafino, il tifo di un italiano vero

Serafino, il tifo di un italiano vero

Simbolo del calcio anni Settanta, Giuseppe Serafini seguì e "cantò" per Pistoiese, Nazionale, l'Inter e perfino Panatta, icona e profeta di una nuova stirpe di sostenitori del calcio e dello sport in generale
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Se non lo vedevi, ma era impossibile non vederlo per via della sua mole, sicuramente lo sentivi perché aveva un vocione tenorile che faceva concorrenza all'acuto di Claudio Villa quando intonava "Granada". Era sempre allegro, esuberante, portatore sano di entusiasmo, lo conoscevano tutti e lo trovavi ovunque. Stiamo parlando di Serafino il tifoso italiano più famoso degli anni Settanta, il supporter che praticamente inventò il professionismo nel tifo. Nel senso che andava da chi lo pagava (pranzi, cene, collette...) per scatenare il tifo sugli spalti. Pare che sulla sua carta d'identità alla voce "professione" fosse scritto "tifoso". Registrato all'anagrafe di Milano il 23 maggio del 1946 come Giuseppe Serafini, divenne per tutti più semplicemente Serafino, anche sulla scia dell'omonimo fim di Celentano.

 

 

 

 

Una storia italiana

 

Aveva iniziato la sua "carriera" giovanissimo a Chiavari dove si era trasferita la famiglia, giocava in porta nel campo della parrocchia e lo chiamavano Anzolin, come il portiere della Juventus, studiava canto, ma ben presto capì che se avesse sfruttato le sue doti, fisiche (chi non diventa di buonumore davanti a un pacioccone che ti sorride) e canore, avrebbe in qualche modo sfondato. In tutti i sensi. Cominciò sulle gradinate dello stadio di Pistoia ai tempi della presidenza Melani, accompagnando la squadra arancione col suo sostegno chiassoso dalla Serie D alla Serie A. Quello fu il trampolino di lancio per diventare un nome sulla bocca di tutti. Eccolo così sugli spalti di San Siro per l'Inter di Herrera, il Milan di Rivera e la Juve di Giampiero Boniperti con trasferte a Varese, disciplina basket, per tifare Ignis. Fu chiamato anche da Renzo Barbera, presidente del Palermo, per sollevare l'umore dei tifosi rosanero. Non pago dei trionfi nel Belpaese pallonaro, Serafino, che era arrivato a pesare sui 200 chili, iniziò a portare il suo tifo straripante all'estero e così anche l'Europa conobbe le sue doti e virtù. Era a Liegi, per la partita di Coppa dei CampIoni dei nerazzurri di Invernizzi. Ma quella volta non furono tutte rose e fiori. Un sostenitore belga, infastidito dai suoi gorgheggi, a un certo punto gli dette una spinta che lo fece ruzzolare e, come il famoso "Bombolo" della canzone, il nostro Serafino "fece un capitombolo" che travolse una decina di spettatori. Tutti trasportati d'urgenza all'ospedale, dove si recò in visita caritatevole Lady Renata, la moglie del presidentissimo Fraizzoli, che voleva portare al bomber del tifo solidarietà, credendolo un tifoso nerazzurro. Lui ringraziò e chiese soldi. Per mangiare. E tornare a casa.

 

Un italiano vero

 

Grandissimo Serafino, personaggio folkloristico e simbolo, per alcuni radical chic, negativo, di una certa Italia caciarona e sopra le righe, magari quella stessa che anni dopo Toto Cutugno avrebbe incensato con la sua canzone col consenso di tutti. Del resto lui era fatto così, non recitava, era spontaneo. Non si era arricchito col tifo. Vivacchiava. Biglietti gratis, passaggi in autostop e quando andava di lusso qualche trasferta sui pullman delle squadre, piazzato nei posti in fondo, coi magazzinieri. La sua popolarità era così diffusa che nell'album Panini del 1974-75 la sua facciona campeggiava in caricatura in una appendice umoristica a vignette sul regolamento del gioco del calcio, disegnata da Prosdocimi e da completare con l'ausilio di figurine. E che dire della partecipazione a "Rischiatutto" fortemente voluta da quel volpone di Mike Bongiorno per accontentare la platea televisiva che lo vedeva inquadrato ovunque ma non sapeva niente di lui. Una sua foto pubblicata sul prestigioso settimanale Newsweek fu la certificazione di un successo Internazionali.

 

 

 

 

Con la nazionale

 

Serafino seguiva gli Azzurri nelle partite della nazionale anche all'estero, era andato per esempio a Monaco ai Mondiali del ’74 per incoraggiarli: la foto che lo ritrae solo in tribuna con un fazzoletto sugli occhi per asciugare le lacrime dopo l'eliminazione dei nostri è di una tenerezza unica. Strillava "Forza Italiaaaa" con tutta l'anima (anche in Argentina nel mondiale del 1978) quando quello slogan era solo un incitamento trasversale di una nazione di 55 milioni di allenatori, ma non solo. Era stato anche precursore del Rocky di Silvester Stallone, solo che il suo grido a pieni polmoni era rivolto a un uomo e non a una donna: "Adrianoooooo....". Ovvero Adriano Panatta, re degli Internazionali al Foro. Perché Serafino seguiva anche gli incontri di tennis, in particolar modo quelli di Coppa Davis, come nella finale del 1979 tra Stati Uniti e Italia a San Francisco, dove entrò in campo per un breve e divertente siparietto con John McEnroe. La Federazione Italiana Tennis, che non apprezzava particolarmente la sua presenza, negò che gli assicurasse alcuna forma di sostegno finanziario, lasciando irrisolto il mistero e la domanda fatta da qualche cronista/moralista "ma chi lo paga?". Il vero mistero in realtà era dove trovasse le maglie extraextralarge che indossava. Le metteva una sopra l'altra e le sfilava poi in base alla squadra da sostenere, portando a tracollo un fustino Dixan rovesciato (quello che a Carosello reclamizzava Paolo Ferrari) a mo' di tamburo, che percuoteva con le sue manone. Morì a soli 36 anni nella primavera del 1980 a Palermo, dove si era recato per seguire la partita col Pisa, per mancanza di ossigenazione ai polmoni a causa della cosiddetta sindrome di Pickwick di cui era affetto e che provocava una sorta di apnea spontanea molto pericolosa. Oggi Serafino avrebbe 79 anni e chissà se si sarebbe ritrovato in questo mondo del tifo organizzato distante anni luce dal suo, ruspante e anche un po' ingenuo ma che non creava problemi. L'unica certezza è che avrebbe sostenuto a tutto campo il trionfo di Jasmine Paolini agli Internazionali e indorato la pillola della sconfitta con qualche coro dei suoi a Jannik Sinner.

 

 

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