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Il Tamburino Sardo è il giovanissimo protagonista di uno dei racconti mensili del libro Cuore di Edmondo De Amicis, che finisce amputato per aver compiuto un'azione pericolosissima nel corso della battaglia risorgimentale di Custoza. Fortuna vuole che a differenza del personaggio che gli ha prestato il soprannome, Gianfranco Zola non abbia avuto nella sua carriera brutali infortuni che gli abbiano precluso il funzionamento di quel piede “razzente”, per dirla alla Brera, mentre la sua prima grande battaglia l'ha combattuta e vinta il 3 dicembre del 1989.
Napoli comincia l'ultimo mese degli anni Ottanta con la notizia ferale che Maradona non potrà scendere in campo a Bergamo per il “solito mal di schiena”. Il suo sostituto naturale è il ventitreenne di Oliena, pescato in C1 da Luciano Moggi alla Torres e catapultato in A a lottare per lo scudetto anche se il Cagliari l'aveva scartato perché troppo minuto. Il suo metro e sessantotto non è misura da gigante – «Finalmente ne hanno comprato uno più basso di me», l'accoglienza di Diego – ma compensa con la classe e, ancora con Brera, con quella “bullaggine di sardo, coraggioso fino alla mattia”. Per Zola Napoli è «Un sogno che si realizza» e quando è chiamato a fare le veci dell'idolo si merita d'un colpo i paragoni più pirotecnici: Marazola o Zoladona. Esalta le folle sin dall'esordio in A al San Paolo contro l’Udinese, il 3 settembre 1989: “Dribbla come un matto, ha i piedi morbidi e, se non fossi sicuro che non può essere il bagonghi miliardario lo avrei scambiato per lui” ironizza Feltri. Dicevamo della contesa a inizio dicembre, però. È lì che comincia davvero la sua epopea napoletana. Alla mezz'ora Zola sistema il pallone al limite dell'area atalantina e con una punizione sopra la barriera la schianta sul palo a portiere immobile: «Il Napoli non deve cercare il mio sostituto, ce l'ha già in casa» racconterà in giro Maradona nei suoi ultimi giorni italiani. “Con quel numero dieci stan bene proprio tutti” si danno di gomito sugli spalti. Bigon, consegnandoglielo alla vigilia, gli aveva detto. «Tocca a te. Dai il massimo». Gianfranco esegue e il San Paolo si scioglie in ovazioni: “Zola! Zola!”.
Il livello della sua gara è talmente parossistico che Galeazzi, ai microfoni Rai, azzarda e gli chiede se il vero proprietario della dieci non sia lui: “È una cosa esagerata?”. “Esageratissima!” si schermisce Zola abbassando lo sguardo. Il suo primo gol in A, in quella domenica bestiale, è una chicca: passaggio all'indietro di Crippa, difensore saltato netto con il primo tocco e conclusione a giro nell'angolo lontano. Insigne, da quella zolla, lo chiamerà tiraggir'. Quello conquistato nel 1990 sarà l'unico scudetto di Zola in Italia e da prima riserva lo firmerà con un altro gol importantissimo. Alla ventiseiesima giornata gli azzurri sono a meno due dal Milan e l'1-1 su cui s'è bloccata la partita del San Paolo contro il Genoa significherebbe altri punti persi. Maradona è di nuovo fuori, Zola veste la undici ma i suoi numeri son sempre gli stessi: classe, fantasia, estro. Cross a campanile in area, testa di Careca, mischione al limite dell'area piccola e mezza girata risolutiva al novantesimo per due punti d'oro nella corsa scudetto. In azzurro Gianfranco disputerà altre tre stagioni, con altri trenta gol in campionato e una Supercoppa Italiana in bacheca. Dopo la squalifica e il conseguente addio di Maradona lo sostituirà in pianta stabile riproducendone le meraviglie, sino al passaggio al Parma per fare cassa. In Emilia scriverà altre pagine memorabili con la sua classe, al Chelsea diverrà il giocatore più forte nella storia del club e a Cagliari chiuderà la carriera riportando in A la squadra e inventando calcio sino alla soglia dei quaranta. In Inghilterra lo hanno ribattezzato Magic Box, la scatola magica, ma a Napoli rimarrà sempre il ragazzo che ha ereditato la dieci di Maradona.
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