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L'avversario della Fiorentina in semifinale di Conference League non è molto abituato a questi palcoscenici europei: nel suo passato però ha avuto protagonisti davvero indimenticabili, nel bene e nel male
Per la prima volta nella sua storia il Betis Siviglia è arrivato in semifinale in una competizione europea. Finalmente un momento di gloria per i biancoverdi, il cui nome completo è Real Betis Balompié. Una storia quella del club andaluso fatta di molti bassi e pochi alti, anni e anni di pane duro anche in Segunda Divisiòn e un difficile metro di paragone da trovare, per esempio, con una squadra italiana. Condivide innanzitutto il tifo cittadino con il Siviglia, il club con più Europa League all'attivo (7), ma non lo stadio: la Fiorentina infatti giocherà in Conference League al Benito Villamarin, impianto un po' vetusto conosciuto anche come Heliopolis, e abbastanza lontano dal centro della città. Chi è comunque questo Betis Siviglia? Abbiamo scelto cinque giocatori di culto nella storia dei biancoverdi, fermo restando che il più di culto forse, peraltro un ex anche della Fiorentina, non l'abbiamo calcolato: Joaquin.
Giocatore di culto assoluto a prescindere, il difensore bulgaro purtroppo scomparso nel 2016 ad appena 50 anni. Volto storico della generazione d'oro capace di arrampicarsi fino alle semifinali mondiali nel 1994, nel 1990 lascia la Bulgaria per trasferirsi a Siviglia, sponda Betis. Siamo nell'era pre-Bosman, le squadre non possono tesserare un numero potenzialmente infinito di comunitari, quindi gli stranieri bisogna sceglierli con circospezione. E possiamo immaginarci Ivanov che dal Cska Sofia si trasferisce nel caldo andaluso con i suoi capelli lunghi e lo sguardo da duro. Una strana operazione, quella del bulgaro, che di fatto alternava metà stagione in Spagna e metà "a casa", tra un prestito e l'altro. Il pubblico del Villamarin impazzisce per questo difensore che tenta anche le sortite da lontano e si lancia all'attacco dimenticandosi in realtà il suo mestiere primario. Poco importa, a volte trova dei gol tutt'ora indimenticabili per i tifosi del Balompié, come uno in sforbiciata al Villarreal in un campionato di Serie B. Ancora oggi quel gesto tecnico è conosciuto come "El gol de Ivanov", generazioni e generazioni di supporter continuano a parlarne manco fosse quello di Van Basten all'Unione Sovietica nella finale dell'Europeo del 1988.
Era il 1998 e sembrava che non si potesse pensare di essere un club d'élite senza questo brasiliano dal passo felpato e dal dribbling ubriacante. Non esattamente il massimo della continuità, però l'attesa di vederlo al Mondiale di Francia di quell'anno era altissima, protagonista anche di un celebre spot in cui la nazionale verdeoro dava spettacolo in aeroporto aspettando il volo. Denilson, mancino, di quel Brasile era la carta a partita in corso, riserva del più ordinato Leonardo. Lasciò tutti di stucco quando al momento di salutare il San Paolo si accasò per un mucchio di soldi (al cambio di oggi circa 32 milioni di euro) proprio al Betis, una squadra che alternava stagioni nella Liga e in Segunda Divisiòn. I biancoverdi ne fecero l'acquisto più caro della loro storia, un record che ancora nel 2025 appartiene a questo brasiliano molto fumo e poco arrosto, a dire la verità. Contratto di 12 anni (!) a 3 milioni di euro, sempre al cambio di oggi: a Siviglia però rimarrà appena due stagioni, in tempo per vedere il Betis retrocedere. Bidone? Di sicuro non fu decisivo. Comunque nel 2002 riuscirà a vincere il Mondiale con il Brasile, sempre da riserva di lusso.
Tutt'altro tipo di giocatore, almeno in quanto a continuità: corsa impettita, passo felpato, era il nigeriano che arava la fascia destra all'Ajax di Van Gaal, fisico e tecnica in egual quantità. E poi con l'eterno dubbio su nome e cognome, Finidi George o George Finidi? Pare che la prima opzione fosse quella corretta. Al Betis il nigeriano ci arriva nel 1996 proprio dall'Ajax con cui è salito sul tetto del mondo. Acquisto di prestigio dopo che il Real Madrid era arrivato a un passo dal suo tesseramento. Per il corrispettivo di 6 milioni di euro i biancoverdi portano a casa un giocatore ancora nel pieno della maturità e che di fatto trascina il Balompié a una delle sue migliori stagioni di sempre: quarto posto in campionato e finale di Coppa del Re persa contro il Barcellona. Per lui un totale di quattro stagioni, due anche con Denilson, segnate da 44 gol in 152 presenze, davvero tanta roba.
Meno male che quel Betis riusciva ad avere in squadra anche dei brasiliani più ragionatori e meno farfalloni: tifosi romanisti, se vi state chiedendo che fine avesse fatto il metronomo dello scudetto, uno dei centrocampisti meno considerati in base alla qualità (forse), eccovi serviti. Dopo l'esperienza in giallorosso, cinque eccellenti anni a Siviglia, dove sarebbe diventato il padrone assoluto della mediana, dal 2002 al 2007. Una bella squadra, quel Betis, una Coppa del Re vinta e un quarto posto con conseguente qualificazione alla Champions League 2005-06, la prima e unica nella storia del Balompié in attesa di un mezzo miracolo, chissà, in questa stagione dove basterebbe arrivare quinti (i sivigliani al momento sono sesti). Per i biancoverdi una bellissima figura in quell'edizione del trofeo, fuori al primo turno in un girone con Liverpool e Chelsea: 2 vittorie, un pareggio e 3 sconfitte, Assunçao presenza fissa e di personalità. Di lui, come del resto anche alla Roma, ricordano ancora con piacere i gol su punizione, la sua vera specialità.
Estate 2006, il Milan cede dopo 7 anni di formidabile militanza Andriy Shevchenko. I rossoneri hanno in tasca un mucchio di milioni di euro, ma trovare un degno sostituto del fuoriclasse ucraino è pressoché impossibile. Si sondano vari nomi, però quasi alla fine del mercato estivo, complice anche i preliminari di Champions League, il Diavolo non ha ancora quagliato nulla. Fino a quando dal cilindro il Milan tira fuori Ricardo Oliveira, un altro brasiliano nella già corposa nidiata verdeoro della rosa: Dida, Cafu, Kakà, Serginho e Ronaldo. Non costa nemmeno poco, 18 milioni di euro circa, pagati appunto al Betis Siviglia con cui nelle precedenti due stagioni ha messo a segno 33 reti in 60 partite contribuendo anche alla vittoria in Coppa del Re. Il ragazzo però è talmente sicuro dei propri mezzi che sceglie come numero di maglia nientemeno che la 7, quella di Shevchenko. E quando segna all'esordio in campionato la rete decisiva alla Lazio molti si sfregano le mani: è nata una stella. Non sarà esattamente così per questo brasiliano introverso, che non riesce ad adattarsi ai nostri ritmi e finirà presto nel dimenticatoio di Carlo Ancelotti, che preferisce uno schieramento più prudente: una punta sola (Pippo Inzaghi) con dietro Kakà in stato di grazia e Seedorf, nel compatto e fruttifero "albero di Natale". Il Milan vince la Champions, ma l'apporto di Oliveira è minimo. L'estate successiva viene impacchettato e spedito al Real Saragozza, di nuovo in Spagna.
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