Addio a Jair, l’ala destra della Grande Inter

Addio a Jair, l’ala destra della Grande Inter

Arrivato a Milano nel 1962, fu tra gli artefici dei successi dei nerazzurri guidati da Helenio Herrera. Nel 1965 un suo gol regalò la seconda Coppa dei Campioni ad Angelo Moratti

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Un altro pezzo della Grande Inter di Helenio Herrera se ne è andato. Jair da Costa, per tutti semplicemente Jair, nella formazione di quello squadrone che segnò a vita gli anni Sessanta e tutti gli amanti del calcio italiano, veniva nominato dopo capitan Picchi e prima di Sandro Mazzola. 


 

 

Le caratteristiche tecniche di Jair

Ala destra, in tempi in cui le maglie venivano numerate dall’uno all’undici, indossava inevitabilmente la numero sette. Correva su e giù per la fascia di competenza con ampie falcate: da lì il soprannome di Freccia Nera. Non era uno di quei brasiliani che si davano da fare solo dalla linea di centrocampo in su, anche perché sarebbe incorso nelle ire del Mago, che dalla panchina gliene avrebbe gridate di tutti i colori. Da buon sudamericano, faceva della tecnica raffinata la sua arma migliore inserendo, tra una falcata e l’altra, un dribbling d’autore o un passaggio illuminante che i suoi illustri compagni, nello sviluppo delle azioni che il tempo ha trasformato in transizioni offensive ma che all’epoca erano meri contropiede, andavano a finalizzare. Il ricordo dei suoi anni in Italia è legato inevitabilmente all’Inter per via delle nove stagioni, dal 1962-63 al 1971-72, trascorse a Milano, intervallate da una sola annata (1967-68) nella Roma, alla quale approdò dopo un appannamento di condizione che fece ritenere ai nerazzurri che potesse essere ceduto senza rimpianti eccessivi. 

 

 

Jair e i trionfi con la Grande Inter di Helenio Herrera

Ragazzo di buoni sentimenti, non si fece travolgere dai trionfi che andò a conquistare con la Beneamata. Probabilmente le sue umili origini e un’educazione appropriata gli permisero di rimanere ancorato a quei principi che il successo professionale e il denaro in abbondanza possono spingere a dimenticare. Arrivò in nerazzurro grazie ai 170 milioni di lire versati al Portuguesa dopo che il Milan non lo aveva ritenuto adatto alle sue esigenze. E sì, da buon brasiliano, i primi tempi soffrì di nostalgia, che cercava di curare ascoltando la musica del suo Paese. Il freddo di Milano non sapeva cosa fosse, tanto che la prima volta che vide la neve, cominciò a saltarci dentro come un bambino. Ma con l’Inter trovò il modo di rendere dolce quella malinconia: quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali gli riempirono la bacheca e il cuore. A San Siro, nel 1965, fu proprio un suo gol a regalare la seconda Coppa dalle grandi orecchie a Moratti mentre nel 1971 fu tra i maggiori protagonisti del primo scudetto targato Fraizzoli. Nel 1972 tornò in Brasile per giocare nel Santos di Pelè, con il quale l’anno seguente vinse il campionato Paulista, ironia della sorte assegnato ex aequo anche alla Portuguesa. Il Santos fu la sua ultima squadra importante, prima di declinare gli ultimi sprazzi di carriera in Canada. 


 

 

Jair campione del mondo senza giocare

Ebbe la sfortuna di giocare negli anni in cui Garrincha duettava con Pelè: impossibile competere con lui per il posto in Nazionale. Ecco perché indossò la maglia verde-oro in una sola occasione, il 16 maggio 1962, a pochi giorni dall’inizio del Mondiale cileno: un’amichevole contro il Galles che il Brasile vinse 3-1. Fu convocato nei ventidue che parteciparono alla Coppa del mondo, diventando campione senza scendere in campo neanche un minuto, prima di salire sull’aereo che gli aprì le porte del Vecchio Continente. Insieme al connazionale Canè, che quell’anno arrivò a Napoli, fu il primo giocatore di colore a calcare i campi degli stadi italiani.


 

 

Dopo il ritiro

 

Terminata la carriera, Jair portò avanti diverse attività connesse al mondo del calcio. Quella che forse fa più piacere ricordare è legata al centro sportivo di Osasco, la città nella quale è scomparso lo scorso 26 aprile: una struttura che portava il suo nome, nella quale trovavano posto tutti coloro che, dopo una partita di calcio a sette, avevano voglia di fermarsi a scambiare due chiacchiere e stare insieme, sia giovani che ex ragazzi che cominciavano a fare i conti con l’età. Segno evidente che la passione di Jair per il calcio e per la gente lo ha illuminato fino ai suoi ultimi giorni.

 

 

 

 

 

 

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