Orfeo Pianelli, il presidente del Torino del 1976

Orfeo Pianelli, il presidente del Torino del 1976

Scomparso il 24 aprile 2005, guidò la società dal 1963 al 1982. Lo scudetto, che sulle maglie granata non era più comparso dopo la tragedia di Superga, fu il suo capolavoro

  • Link copiato

Il 16 maggio 1976 il Torino tornava a essere campione d’Italia. Una vittoria che mancava dal 1949, anno in cui la tragedia di Superga pose fine alla storia della grande squadra capitanata da Valentino Mazzola. Al Comunale, dopo ventisette anni, i granata riportavano sulle loro maglie quel tricolore che già nel 1972 avevano solo sognato fino all’ultima giornata. Allora come in quel giorno di felicità commossa e stordente, il presidente era Orfeo Pianelli, industriale fai da te originario del mantovano, che a Torino aveva costruito il suo successo imprenditoriale nel settore dell’elettromeccanica. Uomo laborioso, tenace e intelligente, dai più semplici lavori manuali esercitati in gioventù era riuscito a portare la sua scalata sociale fino all’acquisto del Torino, squadra della quale era tifoso viscerale.

L’impronta societaria di Pianelli sul Toro

Entrato nel consiglio di amministrazione del club nel 1962, ne divenne presidente e azionista di maggioranza l’anno seguente, dando subito evidenza alle sue intenzioni ingaggiando il tecnico Nereo Rocco, che con il Milan aveva appena vinto la Coppa dei Campioni. Già da questa prima mossa si capivano due cose: la prima, che con lui il Torino mirava in alto; la seconda, che per raggiungere traguardi importanti, Pianelli faceva affidamento su un’organizzazione gestionale che prevedeva l’inserimento nei ruoli chiave (quadri dirigenziali - nello specifico Beppe Bonetto - e allenatore) di professionisti pragmatici ai quali conferire ampie deleghe. Quanto ai giocatori, si puntava soprattutto su giovani sui quali poter investire per inserirli in prima squadra o venderli al miglior offerente. Una gestione oculata che non avrebbe dato risultati immediati ma che il tempo avrebbe saputo ricompensare. I ragazzi che Pianelli acquistava erano spesso profeti di buon calcio: dal povero Gigi Meroni a Paolino Pulici, al quale era particolarmente legato, da Claudio Sala a Ciccio Graziani. Giovani che sarebbero maturati insieme portando il Toro ai livelli più alti dopo Superga. 


Dalla Coppa Italia a Gigi Radice

L’avvicinamento allo scudetto del 1976 fu graduale. Costituì l’approdo finale di un percorso che combinava la passione per i granata, la programmazione imprenditoriale e la dedizione al lavoro. Il primo successo arrivò nel 1968: una Coppa Italia replicata nel 1971, prima della stagione nella quale il sogno scudetto restò lontano l’inezia di un punto. Fu con l’arrivo di Gigi Radice in panchina nel 1975 che il Torino riprese in mano le redini del calcio italiano. I suoi schemi aggressivi declinavano in chiave italica la rivoluzione del calcio totale: Graziani andava a pressare alto il portiere quando la costruzione dal basso non era nemmeno un pensiero, Patrizio Sala traspirava chilometri, Pecci e Zaccarelli intrecciavano linee di gioco tra razionalità e piedi buoni. Claudio Sala era l’anima meroniana della squadra, quello che, tra un passo in dribbling e un cross affilato, procurava occasioni a ripetizione ai gemelli del gol, Pulici e Graziani. 


 

 

Il Toro di Pianelli vince lo scudetto 1976

Lo scudetto fu il momento più elevato della presidenza Pianelli. La città si esaltò attorno alla sua squadra operaia, granata come il sangue asciugato dalla polvere, che con quell’affermazione alzava il suo orgoglio come una bandiera al cospetto dei padroni di sempre. Quelli che gli scudetti gli uscivano dalle tasche, le macchine le compravano senza sapere come si avvitasse un bullone, le partite le guardavano per settanta minuti prima di tornarsene frettolosamente a casa piuttosto che mischiarsi nella desolazione della folla che, dopo il novantesimo, sentiva la puzza del lunedì salire come nausea dalle viscere del giorno dopo. Poco tempo prima di quella vittoria, agli albori di quel nuovo grande Torino, un tifoso attempato si era rivolto a Radice per dirgli:” Grazie, perché oggi mi è sembrato di veder giocare quelli là”. Una profezia che nello scudetto trovò il suo compimento definitivo. 


 

 

 

Il declino del Torino di Orfeo Pianelli

La gente sperava di poter replicare quel ciclo che era finito sotto le macerie di Superga. La stagione 1976-77 fu ancora più incredibile di quella precedente: a fine campionato il Toro ebbe il miglior attacco, la miglior difesa, fu la squadra meno battuta (una sola sconfitta) e alla Juventus concesse solo un pareggio nei due derby. Ma, alla fine, nonostante i 50 punti, dovette cederle lo scudetto. La parabola di Pianelli aveva raggiunto il suo punto massimo e l’aveva superato. Le vicende private (il rapimento del nipote di quattro anni, che gli costò, oltre che le sofferenze affettive, un riscatto di un miliardo di lire) e imprenditoriali, con l’azienda elettromeccanica che entrava in crisi, fiaccarono anche la forza del Toro, che dopo quel biennio incredibile iniziò una progressiva discesa verso la normalità che i tifosi non accettarono. La sua era terminò il 21 maggio 1982, il giorno seguente la terza finale di Coppa Italia persa consecutivamente, quando cedette la società a Sergio Rossi anche sulla spinta delle contestazioni di un pubblico che non digeriva il ridimensionamento. Un’uscita di scena che Pianelli avrebbe desiderato diversa, lui che al Torino aveva dedicato la sua anima appassionata e devota.

 

 

 

 

 

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Loading...





















Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi