Luque, campione del mondo dal cuore spezzato

Luque, campione del mondo dal cuore spezzato

Leopoldo se ne è andato il 15 febbraio 2021 per colpa del Covid, l'attaccante morto tre volte ma eroe nel 1978  

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“Se non gioco la finale mi uccido.” È la sera del 6 giugno 1978 e Leopoldo Jacinto Luque ha appena saputo dal dottor Oliva che dovrà stare fermo almeno otto giorni per una lussazione al gomito. Con la Francia, nel secondo incontro disputato dagli argentini nella Coppa del Mondo di casa, il centravanti ha segnato al 73esimo il gol del definitivo 2-1, ma dopo l'esultanza ha provato un dolore tremendo e si è accasciato a terra. Lo chiamano “El Pulpo” perché in campo si sbraccia per allontanare il suo marcatore, sfruttando il suo fisico poderoso, ma stavolta qualcosa è andato storto e uno dei suoi tentacoli ha fatto crac.

I sanitari sono corsi in campo, gli hanno somministrato un anestetico e provato a convincerlo a uscire, ma Luque non ha voluto sentire ragioni. Il Ct Menotti ha già fatto i due cambi concessi dal regolamento e la squadra resterebbe in dieci. Inoltre, tra i settantottomila del Monumental di Buenos Aires siede anche la sua famiglia e Leopoldo non vuole si preoccupino. Non sa ancora che non ci sono: hanno altro per la testa.

La famiglia Luque

Il padre, calzolaio e ciclista, gli ha insegnato a soffrire e sudare per ogni traguardo, così anche se gli dicevano che avrebbe fatto meglio ad andare a lavorare piuttosto che inseguire un pallone Leopoldo è riuscito comunque a entrare nel calcio che conta. Nel 1972, a ventitré anni, ha fatto il suo esordio in Prima divisione argentina con il Rosario Central e l'anno dopo lo ha ricomprato la squadra della sua città, l'Unión de Santa Fe. Quelli che gli avevano consigliato di smettere. È capitano, bomber e protagonista della promozione dalla Seconda divisione e poi di un meraviglioso campionato concluso al quarto posto.

Juan Carlos Lorenzo, ex tecnico della Lazio, gli dice che se seguirà i suoi consigli andrà in nazionale e Luque lo ascolta, diventando prima una stella del River Plate e quindi un inamovibile dell'albiceleste di Menotti.

Talmente importante che prima dell'inizio di Argentina-Francia la Federazione ha imposto ai suoi cari di mantenere un terribile segreto fino alla conclusione dell'incontro. Così la mattina del 7 giugno Leopoldo, ancora allettato, li vede arrivare in ospedale. Le facce lunghe da funerale. Pensa siano preoccupati per lui, per il suo gomito immobilizzato da bende rigide. Prova a sorridere ottimista dietro ai suoi baffoni a manubrio alla messicana, ma quelli scoppiano in lacrime: prima della partita è morto “Cacho”, suo fratello. Fernando Oscar aveva venticinque anni e quella mattina di giugno, in cui Buenos Aires era coperta da una fitta coltre di nebbia, viaggiava sul sedile del passeggero del camion di un amico fruttivendolo. Un vicino di casa che gli aveva offerto un passaggio da Santa Fe. Era pieno d'orgoglio all'idea di vedere il fratello in maglia albiceleste, ma a pochi chilometri dall'arrivo un autocarro fermo in mezzo alla carreggiata aveva messo fine ai suoi sogni. Il fruttivendolo aveva visto l'ostacolo solo all'ultimo e l'abitacolo del suo camion era andato a incastrarsi sotto l'altro mezzo. Fernando era rimasto schiacciato tra le lamiere e il suo corpo carbonizzato nell'incendio che ne era scaturito. C'erano volute ore per riconoscere la salma. Leopoldo è devastato, il gomito non fa più male a paragone del cuore dilaniato: “Né l'AFA, né il Governo, né nessun altro mi ha dato una mano. Solo la squadra e lo staff tecnico si sono preoccupati di me” ha raccontato anni dopo.

Dimesso dall'ospedale, va dal capitano Passerella e gli chiede se può prelevare un po' di soldi dalla cassa comune della squadra per pagare il trasporto della salma di “Cacho” da Buenos Aires a Santa Fe, quindi sparisce. Inghiottito dallo strazio e dal dal lutto.

Prima della partita contro l'Italia, il 10 giugno, i compagni entrano in campo con uno striscione, “Leop, ti aspettiamo”, ma Luque non sa se troverà la forza. L'Argentina perde 0-1 contro gli azzurri, ma si qualifica comunque per il secondo girone, una sorta di semifinale suddivisa in tre partite. Vince 2-0 all'esordio contro la Polonia, giocando un brutto calcio, ed è chiaro a tutti che la squadra ha bisogno del suo centravanti per proseguire nel torneo.

Luque è l'uomo capace di aprire spazi per gli inserimenti mortiferi dell'ala sinistra Kempes, ma come accaduto in entrambe le gare disputate al Mondiale contro i francesi e l'Ungheria, è pure quello in grado di segnare gol difficili e spettacolari. Non è il classico attaccante opportunista, piuttosto un calciatore in grado di unire un gran fisico a doti balistiche di primo livello.

Davanti alla tv durante la partita con la Polonia non ha forza nemmeno di esultare, ma suo padre riesce a convincerlo a rientrare: “Leo devi essere lì, Dio ha voluto così”. Il suo Mondiale ricomincia dallo 0-0 al Brasile, dove si procura un occhio nero, continua con una doppietta nel criticatissimo 6-0 al Perù, che qualifica gli argentini alla finalissima, e si conclude con la vittoria 3-1 contro i Paesi Bassi. La partita per cui avrebbe dato la vita.

Leopoldo è campione del Mondo, la maglia albiceleste sporca di sangue per un colpo subito come metafora della situazione politica. L'Argentina è in festa, ma la dittatura militare non ha riguardo nemmeno per i suoi eroi, figurarsi gli altri.

Durante il torneo, sebbene l'Albiceleste sia sempre accompagnata da tre militari in tuta della squadra con il mitra smontato nella valigetta, come tanti Luque non si è accorto della repressione ai dissidenti. A un anno di distanza dal trionfo del Monumental, tuttavia, si ritrova di notte in un campo abbandonato nella periferia della città con i soldati che alle spalle lo tengono sotto il tiro delle pistole: “Nella mia testa aspettavo solo il rumore dello sparo, il 'Boom!' che mi avrebbe ucciso”. Pensa alla morte ed è solo vittima di una rapina, ma capisce finalmente cosa c'è dietro.

Sopravvive ancora e di nuovo nel 2007, quando un infarto quasi lo stronca. Solo il Covid, male subdolo come e più dei generali del '78, lo abbatte e dopo settimane di battaglia al virus muore a Mendoza il 15 febbraio 2021. Lottatore sino all'ultimo.

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