La festa di Baldieri: «Felice a 60 anni»

La festa di Baldieri: «Felice a 60 anni»

Dall’esordio contro Ranieri a Roma-Napoli fino all’amico Vialli: «Quanto manca uno come Gianluca, era una persona speciale»

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Paolo Baldieri, romano classe 1965, compie oggi sessant’anni. Lo abbiamo intervistato per parlare di lui e di Roma-Napoli.

Oggi per Lei è un compleanno importante. Che sensazioni le dà questo traguardo?

«Una gran paura! Il tempo è volato via: ho ricordi che sembrano di poco fa e invece riguardano fatti vecchi di trent’anni o anche più. E mi viene da pensare: ma sono già arrivato a sessanta? E poi la cosa strana è che molti amici mi chiamano ancora Paoletto. Comunque, l’importante è esserci arrivati e godere la vita giorno per giorno».

Per carattere è più portato a guardare al futuro con fiducia o a rimpiangere il passato?

«Un misto delle due le cose. Io ho sempre cercato di vivere con leggerezza, anche quando giocavo a calcio. Lo facevo per divertirmi, quando non mi divertivo più cominciavo a calare di rendimento. Alla fine sono una persona dai gusti semplici e mi so adattare alle situazioni che mi trovo a vivere».

Guardando indietro, qual è l’errore più grande che ha commesso?

«Ci sono state situazioni in cui ho dato più retta agli altri che a me stesso. Ecco, quelli sono i momenti in cui ho fatto gli errori peggiori. Avrei fatto meglio a sbagliare di testa mia».

E la scelta più azzeccata?

«In realtà sono due: la prima fu quella di decidere di andare a giocare a Pisa. Il direttore Perinetti mi chiamò e mi disse che mi voleva anche il Pescara: toccava a me scegliere. Feci due anni in una città meravigliosa, con un tifo stupendo. Ho dei ricordi bellissimi. La seconda è stata la scelta di venire ad abitare a Lecce. Ogni giorno che mi sveglio sono contento di stare qui perché mi piace questa terra e tutto ciò che fa parte del Salento e della Puglia».

Cosa è rimasto in Lei del ragazzo che esordiva in Serie A?

«Ricordo che mi marcava Ranieri, che era sul finire della sua carriera (Catania-Roma 2-2 del 6-5-1984, ndr). Al terzo dribbling che gli feci, mi disse: “Ah regazzi’, va a gioca’ dall’altra parte!”. Quel ragazzino là mi fa tenerezza perché credeva in tutti, pensava che la gente volesse sempre fare contento chi gli sta intorno, perché quella è la mia indole. Prendevo un po’ troppo alla lettera il principio di amare il prossimo!».

Qual è il ricordo più bello della Sua esperienza da calciatore?

«Ce ne sono tanti. Alla fine, anche i ricordi brutti diventano belli, perché dopo quelli si risale e tornano le situazioni positive. Ad ogni modo, mi fa tanto piacere ricordare l’esperienza che ho avuto con l’Under 21».

Durante il percorso qualcuno si è perso. Chi le manca di più delle persone che ha conosciuto e adesso non ci sono più?

«Sicuramente Gianluca Vialli, che ho avuto come compagno proprio nell’Under 21. Mi ricordo che lo guardavo e pensavo che avrei voluto essere come lui, non tanto come giocatore ma come persona. Era ottimista, cordiale, sempre col sorriso e una parola per tutti. La sua assenza mi fa venire il magone».

Rispetto a quando giocava Lei, il calcio è molto cambiato. Cosa le piace, e cosa no, del calcio moderno?

«Mi piace il livello di organizzazione complessivo che si è raggiunto. Mi piacciono tutte le informazioni alle quali si può accedere in tempo reale: chilometri percorsi, tiri, passaggi eccetera. Quello che non mi piace è lo stress eccessivo che ruota intorno al calcio e ai calciatori, costretti a giocare troppo. Poi si fanno male e vengono messi da parte. Io non so se fosse meglio prima o adesso. Sicuramente era diverso. Prendi il rapporto tra calciatori e tifosi: era molto più semplice. C’era più passionalità, più cuore».

Un allenatore dove farebbe giocare oggi Paolo Baldieri?

«Oggi mi metterebbero a destra, non farei più i cross che facevo una volta. Arriverei più spesso al tiro col sinistro o metterei delle palle tagliate in mezzo. Anche se ci sono alcuni allenatori, come Ranieri, che stanno tornando a far giocare sulla fascia del piede forte. In certi frangenti è un bene: riesci ad aggirare la difesa da dietro. Se avessi incontrato Sarri avrei corso molto meno grazie al suo pressing altissimo, che non mi avrebbe costretto a correre su e giù per la fascia».

Stasera si gioca Roma-Napoli. Come vede questo big match?

«Da diversi anni il Napoli viaggia nelle parti alte della classifica e lotta per lo scudetto. Quest’anno hanno serissime possibilità di vincerlo. La Roma, in ogni caso, con gli azzurri riesce sempre a fare belle partite».

Questo Napoli è più forte di quello che Spalletti ha portato allo scudetto?

«Assolutamente no, però è più concreto. È una squadra meno bella a vedersi, più umile, che sfrutta tutte le opportunità che gli capitano».

Cosa manca alla Roma per tornare ad essere competitiva ai massimi livelli?

«A Roma l’ambiente non è ideale per giocare a calcio perché ci sono molte distrazioni. Non c’è quella cultura del lavoro che esiste al Nord. Lo diceva anche Capello, e aveva ragione. Roma è grande e dispersiva, non ti fa vivere per il calcio. Quando un giocatore arriva in città prende uno dei difetti dei romani: la pigrizia. La Roma è pigra! A questa squadra manca la fiducia e al pubblico la pazienza di aspettare i giocatori. Adesso dicono tutti che Soulé è scarso. Ma se l’anno prossimo andasse in Inghilterra, tra due anni potrebbe essere uno dei migliori giocatori in circolazione. Anche Dovbyk mi piace ma per fare qualcosa di buono dovrebbe avere qualcuno vicino: sono pochi i palloni giocabili che gli arrivano».

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