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Arrivato in Italia nell’estate del 1980, il brasiliano della Pistoiese giocò poco e deluse. Ma ancora oggi viene ricordato con curiosità e affetto
Il mondo del calcio si presta con facilità a offrire spunti sui quali costruire storie da proporre a un pubblico motivato dalla perenne necessità di sublimare le sue emozioni in un soggetto che le possa rappresentare. Quasi sempre si tratta di atleti di cui si amplificano i tratti della personalità che, affiancati a quelli fisici e tecnici, avvicinano i protagonisti ai santi o ai superuomini, quando non a un iperbolico mix di entrambi. Personaggi che si imprimono nell’immaginario collettivo, spazio nel quale rimangono perennemente giovani, capaci di replicare all’infinito le gesta che li hanno resi famosi. Una regola generale che, per forza di cose, trova le sue eccezioni. Una di queste è la storia che ha riguardato un giovane calciatore brasiliano che, arrivato nell’estate del 1980, ha giocato pochissimo nella nostra serie A ma il cui ricordo è ancora vivo nella memoria di tutti i calciofili italiani. Non tanto per mirabolanti giocate, difensori lasciati sul posto grazie a finte ubriacanti o innumerevoli gol. Semplicemente perché, nella sua breve esperienza, non ha fatto niente di tutto questo nella maniera più naturale e disarmante possibile, lasciando di sé una traccia così vacua da poter essere deformata a uso e consumo delle più disparate fantasie.
La vicenda è quella di Luis Silvio Danuello, primo straniero nella storia della Pistoiese alla sua prima esperienza nel campionato di serie A. Una partecipazione rimasta unica: elemento che, in parte, può aver contribuito a regalare fascino alla narrazione relativa a questo brasiliano dello stato di San Paolo. Uno degli undici stranieri che riaprirono le frontiere del nostro calcio dopo l’ostracismo imposto dalla Federazione a seguito dei deludenti mondiali inglesi del 1966, quando la nostra nazionale inciampò nella sconfitta rimediata contro la Corea del Nord a Middlesbrough.
Nell’estate del 1980 il calcio italiano dava i primi segnali di risveglio dopo il buio dei mesi precedenti, che avevano portato lo scandalo scommesse e la grigia performance degli azzurri di Bearzot agli Europei disputati in casa. L’apertura agli stranieri era uno squarcio di luce proiettato sul futuro, una novità vissuta con la speranza di migliorare e allineare il nostro calcio ai valori dei grandi tornei europei. Di fatto, era il primo mattone sul quale si stava costruendo il più bel campionato del mondo degli anni Ottanta, quello che avrebbe allenato anche i giocatori della nazionale a vincere nel 1982 in Spagna e a sfiorare il titolo mondiale nel 1990. Tutte le squadre, pervase da questa enfasi, volevano regalare ai tifosi uno straniero che potesse garantire un salto di qualità. E mentre Juventus, Inter, Napoli e Roma riuscivano a mettere sotto contratto Brady, Prohaska, Krol e Falcao, le altre navigavano a vista in un mondo di intermediari, voci e consigli che avrebbero dovuto permettere di ottimizzare il rapporto prezzo-rendimento di giocatori meno conosciuti. Tra questi rientrava il mite Luis Silvio, pescato in Brasile dalla Pistoiese dopo un’amichevole organizzata ad hoc per valutarne le doti della quale, in seguito, si mise in dubbio la genuinità. Il ragazzo, di appena vent’anni, arrivò in Toscana con l’entusiasmo e i timori tipici del neofita. La Stampa del 14 agosto 1980 riportava le sue prime dichiarazioni:” Sono in gran forma e lo dimostrerò. Il vostro è un calcio di forza e di temperamento (…) forse è questa la mia unica preoccupazione. Temo un po' di rudezza dei vostri difensori ma vedrò di adattarmi. (…) Il contratto dura un anno, spero sia il tempo sufficiente per dimostrarvi quanto valgo”. Affermazioni più simili a quelle di un quattordicenne che affronta il primo giorno di liceo che di un brasiliano che dovrebbe trascinare una squadra verso la salvezza.
Il campionato comincia e il ragazzo gioca centravanti. Ruolo che, solo in un secondo momento, emerse che non era in grado di sostenere: lui, in patria, faceva l’ala e, per problemi di conoscenza della lingua, non era stato capace di spiegarlo nei colloqui di presentazione con i rappresentanti della squadra toscana. Le prestazioni sono fatue, i gol non arrivano, la presenza di Luis Silvio in campo è impalpabile. Dopo cinque partite da titolare viene accantonato. I compagni ne notano il disagio e i timori, la timidezza nemica di un adattamento che appare sempre più impossibile. Lo ricordò anche Marcello Lippi, suo compagno in quella stagione:” Mi sembrava un pulcino bagnato. Metteva un’enorme tenerezza. Era giovanissimo, spaesato, intimidito. Per farlo sentire a suo agio, lo invitavo spesso a cena. Parlavamo, gli facevo coraggio ma al tempo stesso intuivo il disagio. Pareva capitato in un microcosmo di cui non capiva nessi e ragioni”. Il futuro CT che avrebbe vinto il mondiale nel 2006, invece, non lo bocciò dal punto di vista tecnico:” Non era un brocco. Anzi, era molto veloce. Gli mancò il tempo di adattarsi”. Alla fine, in quell’unica stagione trascorsa in Italia, Luis Silvio collezionò sei apparizioni in serie A e una in Coppa Italia, prima di tornare in Brasile e proseguire una onesta carriera che chiuderà sul finire del decennio. L’eccezionalità della sua vicenda, però, risiede in ciò che è rimasto di quell’apparizione fugace.
Nella normalità delle situazioni, Luis Silvio sarebbe stato dimenticato in fretta, ricordato probabilmente solo da qualche appassionato di statistiche residuali o degli album delle figurine, nel quale compariva con uno sguardo che era lo specchio delle sue emozioni. Una figurina passata alla storia come uno degli emblemi dei “bidoni” che negli anni sono approdati in Italia. Eppure, ancora oggi, di questo brasiliano che sembrò precipitato nel nostro campionato da una galassia remota, si continua a mantenere il ricordo, quando non ad alimentarlo. Forse per via del fatto che il suo passaggio in Italia è associabile a una serie di circostanze particolari, come fu la partecipazione della Pistoiese alla serie A e il suo appartenere a quella prima ondata di stranieri arrivata in Italia dopo anni di autarchia. Ma anche perché questo ex ragazzo degli anni Ottanta ha saputo mantenere un rapporto gentile con chi ha continuato a cercarlo, nonostante le tante falsità che in passato sono state scritte sul suo conto e che, intervista dopo intervista, ha dovuto smentire: da quella che lo vedeva gelataio all’altra che lo dipingeva attore di film pornografici. Il suo profilo Facebook mostra le immagini dei suoi ritorni a Pistoia, delle interviste rilasciate e dell’affetto che i tifosi, tra sorrisi bonari e nostalgia latente, gli riconoscono. Un modo per non farsi dimenticare. Un caso da manuale per dimostrare che, a volte, l’assenza (nel suo caso di prestazioni) può trasformarsi in una presenza.
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