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Lo spagnolo, nato a Terrassa il 25 gennaio del 1980, è stato uno degli interpreti migliori del suo ruolo
I più bravi di tutti non sono quelli che giocano meglio degli altri: sono quelli che, quando ci sono, fanno giocare meglio ogni altro compagno. Nessuna definizione che sia migliore di questa può essere cucita addosso a Xavi Hernandez Creus, meglio conosciuto come Xavi, incarnazione della perfezione a centrocampo.
Nato a Terrassa, nella Comunità autonoma di Catalogna, il 25 gennaio di quarantacinque anni fa, con il suo compleanno ci offre il pretesto, oltre che per fargli gli auguri, di precisare quali sono stati i calciatori realmente epocali, ossia quelli quelli che più di altri, all'interno di una élite di fuoriclasse, hanno caratterizzato l'epoca che li ha visti esibirsi sul rettangolo di gioco. Siamo convinti che Lionel Messi e Cristiano Ronaldo per primi, visto lo sviluppo del discorso, saranno concordi nel farsi momentaneamente accantonare.
Anche perché, somma ingiustizia, per "colpa loro" Xavi non ha mai vinto il Pallone d'Oro: manchevoli furono i giurati, con le loro preferenze da highlights, perché di certo a lui non mancò nulla.
Dall'età di undici anni è nel settore giovanile del Barcellona, il debutto in prima squadra, dopo un biennio nel Barcellona B, avviene nell'agosto del
1998, Supercoppa di Spagna, col Maiorca come avversario.
Campione del Mondo Under 20 nel '99 con la Spagna e Medaglia d'Argento con la selezione olimpica ai Giochi del 2000, Van Gaal lo vede regista dei blaugrana, erede ideale di Pep Guardiola. Investitura pesantissima, ma che non premia del tutto le caratteristiche di Xavi palla al piede. È con l'approdo di Rijkaard alla guida del Barça che vengono premiate in pieno le sue caratteristiche di inimitabile palleggiatore: nel 4 - 3 - 3 che è il modulo di riferimento dell'ex milanista, Xavi va a fare la mezzala, a modo suo, ovvero con tanta libertà tra le linee e minori compiti in copertura; con la possibilità di portare a spasso la palla come un cucciolo sempre più docile; veggente della trequarti che concepisce linee di passaggio laddove gli altri vedono solo un ginepraio di calzettoni.
È con Pep Guardiola, già suo idolo quando Xavi era ancora un ragazzino, che diventa l'ingranaggio più oliato del leggendario Tiqui Taca, che quando il pallone arriva a Messi è già raffinato dal cesello di Iniesta, Busquets, dello stesso Xavi per l'appunto. Altro che "quadrato magico" del Brasile: quel Barcellona è qualcosa di non ripetibile nei decenni a seguire, per summa tecnica e geometrie che si elevano al rango di neoclassiche architetture di centrocampo. Razionalità e bellezza, genio individuale e spartito che esalta ogni orchestrale; esaltazione per la singola giocata mai fine a se stessa: Xavi è stato più di un uomo squadra; ha simboleggiato la squadra attraverso l'uomo, perché nel modo di portar palla c'era già in controluce la sceneggiatura dell'azione attraverso la singola battuta del primo attore.
767 presenze complessivamente con il Barcellona, bagnate da 85 reti; ha vinto otto volte la Liga, sei volte la Supercoppa di Spagna, tre la Coppa del Re. Ha alzato quattro Champions League, due Supercoppa UEFA, due Mondiali per club.
Campione d'Europa 2008 e 2012, del Mondo nel 2010 con la Spagna. Tralasciamo i riconoscimenti individuali: occorrerebbe un capitolo a parte. Un altro ancora, per la precisione.
Dopo aver chiuso la carriera all'Al - Sadd, il Barcellona lo ha anche allenato, ma questa è storia recente. Il concetto più importante e definitivo, quando si parla di uno come Xavi, è che nessun almanacco, per quanto alto come un tomo di storia moderna, potrà tradurre da solo ciò che in un motto ha saputo condensare un grande ex del Barcellona come Hristo Stoichkov : - Ci saranno un prima di Xavi e un dopo di Xavi -.
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