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L'ex numero 10 passò nel 1997-98 dal Milan ai rossoblù facendo segnare il suo record di gol in Serie A. In nerazzurro poco feeling con Lippi e il trasferimento al Brescia di Carletto Mazzone
Nell'estate del 1997 il mercato del Milan ruota tutto attorno ai fantasisti. Savicevic è richiesto ma non dovrebbe muoversi, Boban è a un passo dal Parma ma fa saltare l'accordo per amore del rossonero e il brasiliano Leonardo è in arrivo dal PSG. E Roberto Baggio? Dopo una stagione da separato in casa, la più disgraziata della storia recente del Milan, tra continui bisticci con il tecnico Arrigo Sacchi, suo nemico giurato, è considerato poco più di un gingillo molto costoso. Il vecchio orologio a pendolo di nonna, che sarà pure intarsiato d'oro, ma troneggia nel tuo monolocale occupando troppo spazio, facendo troppo casino e, diciamolo, è pure completamente alieno al resto della mobilia. Venderlo non è una questione di soldi, l'importante è liberarsene. L'unico che sembra ancora affascinato dalla classe immensa del Divin Codino – ormai prossimo ad un taglio radicale con la pettinatura che ha ossessionato per anni i parrucchieri di mezzo mondo – è il presidente del Bologna Gazzoni Frascara, che la mette su un piano puramente economico: “Baggio mi piace molto e lo vorrei, ma costa troppo per noi”. Per Baggio, forse ritenuto buono giusto per i bassifondi della Premier, si è fatto avanti con una proposta concreta da dieci miliardi di lire solo il Derby County. Per fare un termine di paragone, in quegli stessi giorni si parlava di un'offerta da quindici miliardi del Real Madrid al Bologna per il difensore centrale Stefano Torrisi.
Tutto normale, no? Tagliato fuori dalla ricostruzione milanista tentata da Fabio Capello – quella dei Kluivert, degli Andreas Andersson, di Ba e di Bogarde – alla fine Baggio viene sbolognato al Parma, sedotto da Galliani e Braida durante le trattative fallite per Boban, e il 10 di luglio 1997 tutti i giornali sono certi del buon esito della trattativa. Tanzi lo sogna uomo immagine della Parmalat, sorridente come quando faceva benzina in divisa della nazionale ma stavolta con un bel bicchierone di latte in mano, ma c'è un signore che non è d'accordo: Carlo Ancelotti. “Fu un errore” si è scusato poi. Più realista del re, ai tempi Carletto è ancora il discepolo più integralista del 4-4-2 e di Sacchi. Così, poiché il suo mentore ha vituperato Roby – escluso da Euro 1996 e dal suo Milan – pure lui non si trattiene e all'annuncio chiosa con malagrazia: “Baggio non rientra nei miei piani”. E la trattativa salta quando il tecnico di Reggiolo si dichiara pronto a dimettersi in caso contrario e la stella Enrico Chiesa minaccia di passare al Barcellona se lo vedrà arrivare in spogliatoio. Dopo Zola, spedito al Chelsea, il Parma getta via così ulteriore talento in funzione dei meccanismi di gioco e del collettivo e nei giorni in cui un altro sportivo epocale, Mike Tyson, rischia la radiazione per il morso a Holyfield, il trentenne Baggio fa la parte del bidone. “Non ho mai creato problemi. Non chiedo il posto fisso, ma di partire alla pari” prova a spiegare lui, facendo professione di umiltà, ma la grandezza del suo nome e del suo passato minano le certezza degli allenatori di mezza serie A, impauriti all'idea di maneggiare cotanto talento, materia delicata e infiammabile.
Tra le lusinghe di Napoli e Udinese alla fine la spuntano Gazzoni e il Bologna, a prezzi di saldo: “Niente regali, vogliamo sei miliardi” intima Galliani, ma la sua durezza nell'approcciarsi alla trattativa, a cifre ridotte a un terzo rispetto ad appena due anni prima, è involontariamente comica. “Baggio? Abbiamo già Beto” scherza, ma non troppo, pure il tecnico napoletano Bortolo Mutti quando gli chiedono lumi sulla trattativa sfumata. Ormai tra Roby e un carneade non c'è differenza. “Non avrà il posto sicuro, io ne ho venti di giocatori” lo accoglie con modalità poco consone a un ex pallone d'oro il mister rossoblù Ulivieri. La piazza bolognese è in delirio, ma per Baggio non è facile scardinare i pregiudizi dell'allenatore, che si convince ad affidarsi al campione a suon di prestazioni dopo settimane di scaramucce dialettiche e dispettini nel tentativo di consolidare la propria leadership. Roby disputa una delle sue migliori stagioni in assoluto, chiudendo il campionato 1997-98 con ventidue gol – record per lui in A – e riconquistando la Nazionale nel Mondiale di Francia, seppure da semplice alternativa a Del Piero in un'Italia catenacciara.
Ronaldo e Baggio, fenomenali acquisti di quell'estate 1997, si sono sfidati agli albori della stagione in un Bologna-Inter del 6 agosto, concluso 1-0 con gol di Ganz, e nelle foto di rito prima della partita sono talmente belli uno di fianco all'altro che Moratti decide di riunirli in nerazzurro. E, guarda caso, nel 1998-99 l'Inter segna il suo record di abbonamenti. Tanto ben di Dio viene consegnato nelle mani di Gigi Simoni, che con tutto l'affetto e la stima che si possono nutrire per l'uomo, forse non è l'allenatore più adatto a gestire un patrimonio tecnico e di personalità di quel livello. L'Inter di Baggio e Ronaldo, che insieme giocano poco, chiude ottava, e passa di mano da Simoni a Lucescu, quindi a Castellini e Hodgson, così l'estate successiva Moratti sceglie Marcello Lippi. E a Baggio, che ha comunque regalato meraviglie, tipo una doppietta in un 3-1 al Real Madrid, fischiano le orecchie. Già nella stagione 1994-95 Lippi lo ha fatto fuori dalla Juventus, preferendogli il solito Del Piero, e quando comprano pure Vieri capisce che gli rimarranno solo le briciole. “Uccidimi se non ti servo” porta scritto su un cappellino in conferenza stampa dopo aver battuto da solo il Verona a gennaio con un gol e un assist dopo tante panchine e tribune. “Lippi mi ha preso in giro” dirà e dopo due gol al Parma nello spareggio Champions lascerà i nerazzurri sentendosi “umiliato”. Dopo i fasti di Bologna e le miserie nerazzurre, a trentatré anni Baggio è dato di nuovo per finito e la sua epica troverà solo a Brescia con Mazzone nuovi modi per protrarsi. Se il mondo e il calcio fossero guidati dal sentimento, un simile sperpero non avrebbe mai avuto luogo: Inter e Bologna lo rimpiangono in modi differenti ma ugualmente orfani.
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