D'Amico, una vita per la Lazio

D'Amico, una vita per la Lazio

In quello che sarebbe stato il giorno del suo 70esimo compleanno, raccontiamo la carriera biancoceleste del trequartista, recentemente scomparso, e una partita in particolare

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Ci sono partite destinate ad entrare nella storia e giocatori in grado di scrivere un destino diverso rispetto a quello che qualcuno aveva immaginato. Il 6 giugno 1982, giorno di Lazio-Varese, Vincenzo D'Amico ha scritto una delle pagine più romantiche, intense e struggenti, della storia biancoceleste. Forse la partita che più lo ha identificato nella storia laziale.

Lui, che otto anni prima festeggiava la vittoria dello scudetto, che aveva indossato con fierezza la fascia di capitano in alcuni dei momenti più duri e complicati della storia laziale, quando intorno, la barca sembrava crollare; lui che era passato da una possibile convocazione in Nazionale, alla serie cadetta, per colpe altrui; lui, che si era già caricato sulle spalle una squadra fatta di ragazzini che arrivavano dal settore giovanile, per provare a salvare la baracca. Lui che non si è mai nascosto di fronte alle responsabilità.

 

Il giorno di Vincenzo

 

Perchè Vincenzo D'Amico, che oggi avrebbe compiuto settanta anni, ha rappresentato più di ogni altro la vera essenza della Lazialità: il senso di appartenenza, la voglia di non mollare mai di fronte ad un destino che sembra scritto. C'è stato nei momenti più esaltanti, quando il suo estro e la sua fantasia sono risultate decisive per la conquista del primo, storico scudetto; era presente quando il giocattolo si stava rompendo e i protagonisti della Banda Maestrelli, uscivano di scena: è stato lui, dopo un anno a Torino, a organizzare il suo ritorno nella capitale, trasformandosi in presidente, intermediario e procuratore: organizzando la trattativa direttamente con il patron granata e, particolare di non poco conto, rimettendoci anche tanti soldi. Pur di ritornare nella sua Lazio. Tra la sua gente. Anche quella che era pronta a non perdonargli nulla.

Vincenzo D'Amico non ha mai lasciato la nave. Soprattutto nelle tempeste. Quando alcuni tra i suoi compagni più prestigiosi, venivano coinvolti nel calcio scommesse, si è caricato la Lazio sulle spalle. Nell'anno del ritorno in A, ha segnato gol belli e decisivi, come quelli che, la stagione successiva e durante l'infortunio di Bruno Giordano, hanno permesso alla squadra di portare a casa i punti decisivi per la permanenza in serie A. «Non ricordo neanche quanti rigori sono andato a battere quell'anno: tutti sullo 0-0 o sull'1-0 per gli avversari, quindi decisivi per la vittoria o per il pareggio. Ricordo, l'ansia, la tensione. Io chiudevo gli occhi e calciavo», ha ricordato in una vecchia intervista.

Il sei giugno del 1982, con una Lazio quasi spacciata e ad un passo dalla retrocessione in serie C, ha compiuto un capolavoro. I biancocelesti di Clagluna, avevano un disperato bisogno di punti, ed affrontarono all'Olimpico il lanciatissimo Varese di Eugenio Fascetti, che stava stupendo tutti per la qualità del gioco, ed era ad un passo dalla promozione in A. La Lazio, che il turno precedente era stata clamorosamente sconfitta in casa dalla Cremonese, aveva bisogno di fare punti. Per evitare una sconfitta che avrebbe spalancato al club una dolorosa retrocessione in serie C. L'Olimpico si presenta spoglio: con meno di settemila paganti. I laziali sono esausti, sconvolti dalla retrocessione in B per il calcio scommesse, traditi dai loro idoli e stanchi dopo una stagione assurda, che li vede con un piede e mezzo in C. Dopo meno di un quarto d'ora, il Varese si porta sul 2-0, grazie ai gol di Turchetta e Bongiorni. Ma proprio nel momento di maggior tensione, quando tutto sembrava finito e lo spettro della serie C si materializzava sempre più cupo di fronte ai tifosi, Vincenzo D'Amico entrava in scena.

Come un vecchio capitano che non ha nessuna intenzione di abbandonare la sua truppa in un mare burrascoso, Vincenzo prende per mano ogni singolo laziale, e lo trascina fuori dalle sabbie mobili. Si procura e segna un rigore, poi si inventa una punizione magica, beffando il portiere con una traiettoria quasi impossibile; infine, nella ripresa, segna anche il terzo gol, trasformando con freddezza un penalty che regala un'inaspettata speranza ad un popolo, che viveva sull'orlo del baratro.

D'Amico non ha tradito, come sempre nella sua storia. E' rimasto legato in modo viscerale all'ambiente laziale: che ha saputo conoscere e capire meglio di chiunque altro. Mai nessuno è stato in grado di riconoscersi e trasformarsi in un vero tifoso, come ha fatto lui. Mai nessuno ha vissuto tutti i momenti più esaltanti, delicati e drammatici della storia di un club, vivendoli da protagonista assoluto. Tanti auguri Vincenzo....

 

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