Jürgen Klinsmann, il "terzo tedesco" che rese grande l'Inter

Jürgen Klinsmann, il "terzo tedesco" che rese grande l'Inter

Dal Mondiale del 1990 con la Germania alla Coppa Uefa in nerazzurro l'anno seguente fino ai trionfi con il Bayern Monaco: ecco il profilo della "Biscia impazzita"

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Nel 1987-88, il Milan ha vinto il campionato con due olandesi – Van Basten e Gullit – e, aggiunto il terzo, Rijkaard, ha conquistato la coppa dei Campioni. Alla faccia di chi voleva l'argentino Borghi. Nel 1988-89, l'Inter dei record ha stracciato la concorrenza in A con due tedeschi – Brehme e Matthäus – ed è la cabala a urlare nelle orecchie del presidente Pellegrini di comprarne un terzo. Per provare ad assaltare la coppa più ambita, alzata l'ultima volta dai nerazzurri nel 1965, serve un altro sacrificio albiceleste. Il pur ottimo Ramón Díaz – che già era arrivato all'Inter come rimpiazzo del “tacco di Allah” Madjer – nonostante i dodici gol in campionato (dei record), viene girato al Monaco. Milano è da bere, ma il calice, se ci metti il mate, è amaro. Alla Pinetina sbarca nell'estate 1989 Jürgen Klinsmann da Göppingen, che con lo Stoccarda ha spaventato il Napoli di Maradona in finale di Coppa Uefa.

Jürgen Klinsmann, la "Pantegana bionda"

Alto, slanciato, con due gambe muscolose e il caschetto alla Caterina Caselli biondo cenere. Quando si lancia alla rincorsa dei palloni, crea linee cinetiche tipo quadro futurista. Dinamismo di un fußballer, alla tedesca. Lo guardi e, se sei della Gialappa's, pensi subito: “Pantegana bionda”. Il naso, diciamo così, “importante”, gli dà in effetti una fisionomia un po' topesca, ma se sai come muoverti in area di rigore, la Nord sarebbe disposta ad abbracciarti anche tra i cunicoli del sottosuolo. Figuriamoci su un podio con una coppa stretta tra le mani. Meglio chiamarlo “Biscia impazzita”. Appena arrivato, Trapattoni gli dice di lasciar perdere con lo studio dell'italiano, tanto per capire il suo modulo bastano poche parole “gol, catenaccio e difesa a oltranza”. Ipse dixit. E Klinsmann si adatta, imparando a vedere le persone “per come sono” e non in modo tedesco, cioè come vorrebbe che fossero. E si fa un po' italiano.

Il primo anno all'Inter

All'esordio in A con la Cremonese, in quel di San Siro, Klinsmann rimane a secco, ma la gamba – lo abbiamo già sottolineato, infinitamente lunga tipo gemella Kessler – si muove rapida e prova a confezionare assist al compagno d'attacco, Aldo Serena. Jürgen sfiora il gol di testa, corre, si sbatte, l'Inter vince di misura e lo stadio applaude. Buona la prima e buonissima la seconda e la terza, con i primi gol contro Bologna e Lecce. A Genova, con la Samp, arriva una sconfitta, ma la partita che conta è il 13 settembre. L'andata del primo turno di Coppa dei Campioni, in Svezia, contro il Malmö: Klinsmann gioca novanta minuti ma è il quasi omonimo Lindman, a un quarto d'ora dalla fine, a far cadere dal letto “un'Inter che dorme”. Il nuovo bomber si merita un cinque all'unanimità. Al ritorno, davanti ai sessantamila di San Siro, l'Inter non va più in là di un 1-1 ed è eliminata. Il trio tedesco ha già perso il confronto con quello olandese, che trascinerà il Milan sino alla finale di Vienna, vinta 1-0 con gol di Rijkaard sul Benfica. La mossa di Pellegrini non ha pagato e la Supercoppa italiana alzata a novembre – Klinsmann assente – non può bastare. A fine campionato l'Inter è terza, dietro ai cugini e al Napoli campione, ma mai davvero in lotta per il bis Scudetto.

Il successo a Italia '90 con la Germania

Klinsmann non fa male e chiude con tredici gol, due più del gemello Matthäus ma uno in meno del romanista Völler, con cui divide l'attacco della nazionale. I diciannove del capocannoniere Van Basten – ancora olandesi, ancora Milan – sono lontani. A Italia '90, però, si prende la sua rivincita sul destino: segna tre gol, quello più importante proprio agli ottavi contro gli Oranje del terzetto milanista, e a fine torneo alza la Coppa del Mondo grazie al gol in finale del compagno nerazzurro Brehme. Per gli interisti è una piccola rivincita.

Dal trionfo in Coppa Uefa all'addio

Comincia la stagione 1990-91. Matthäus si prende il Pallone d'Oro e segna a raffica, ma è Jürgen il vero insostituibile del Trap, riuscendo finalmente ad alzare un trofeo da protagonista. L'Inter vince la sua prima Coppa Uefa in finale sulla Roma e Klinsmann segna reti importantissime. L'anno dopo, parole sue, gioca la stagione “più deludente della carriera”. La nuova Inter di Orrico non gira e per Jürgen il primo gol arriva solo alla dodicesima giornata: nel derby contro il Milan. L'Inter è sotto 1-0 (Van Basten, manco a dirlo), ma nel secondo tempo Klinsmann intercetta in mezza rovesciata una sponda di Berti e supera Rossi per l'1-1 finale. L'esultanza, più che rabbiosa è liberatoria. A fine campionato l'Inter lo invita a trovarsi una squadra, nonostante trentaquattro gol in tre anni, e l'allora ventottenne va all'Europeo sfiduciato e da riserva, convocato solo perché si rompe Völler. 

Il rilancio con Monaco e Germania e l'approdo al Tottenham

La Germania perde la finale, ma Klinsmann riacquista posto e fiducia: si parla di un interessamento del Real Madrid ma finisce al Monaco, come Diaz. E si rilancia alla grande. Firma una prima stagione da venti gol in campionato e un'altra ottima. Dopo il Mondiale negli Usa deludente per la Germania ma non per lui, che segna cinque gol, nel 1994-95 passa al Tottenham e di nuovo tocca il suo massimo in carriera con altri venti centri. La Football Writers' Association lo nomina “giocatore dell'anno”.

I trionfi con il Bayern Monaco

Nel 1995-96 arriva la chiamata del Bayern Monaco e dopo tanto peregrinare torna in patria. Con quindici gol, si laurea capocannoniere di Coppa Uefa, vinta in finale sul Bordeaux di Zidane e a quel punto, chi lo dava ancora per brocco si deve ricredere una volta per tutte. Altro che pantegana. Gioca un'altra bella stagione in Baviera, portando a casa la sua prima Bundesliga.

L'ultima parte di carriera e le esperienze in panchina

Fa una toccata e fuga alla Samp, dall'estate a dicembre 1997, e a gennaio rientra al Tottenham dove chiude la carriera nel 1998. Ormai ex, si trasferisce negli Usa, acquisendo le competenze manageriali che gli valgono, nel 2004, il posto di Ct della sua nazionale, ma l'anno prima si toglie lo sfizio di rimettere gli scarpini ai piedi e giocare qualche partita in quarta divisione, con lo pseudonimo di Jay Göppingen. Da Commissario tecnico perde in semifinale contro l'Italia ai Mondiali di casa del 2006, ma con Del Piero, quando si incontrano negli Usa (pure quelli allenati da Ct), ci scherza ancora volentieri. Oggi il caschetto biondo si è incanutito, ma a sessant'anni non ti stupiresti a vedergli fare uno-due scatti in area come ai vecchi tempi.

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