Scusa Ameri, se ci manchi

Scusa Ameri, se ci manchi

Il celebre giornalista e radiocronista è stato una delle voci storiche di Tutto il calcio minuto per minuto nonché conduttore delle prime due edizioni de Il Processo del Lunedì

Paolo Marcacci/Edipress

07.04.2024 ( Aggiornata il 07.04.2024 07:06 )

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Quanta Italia era passata sotto i ponti radio, quando per l'ultima domenica, durante quel Genoa-Juventus del 26 maggio 1991, ritmava col suo timbro inconfondibile il racconto di una partita? Cadevano dalla clessidra di una carriera scandita da gol e aggettivi sempre privi di svolazzi poetici non solo gli ultimi istanti di un campionato vinto da una Sampdoria memorabile, ma anche i momenti residuali di un presente che era già nostalgia: con l'ultima radiocronaca di campionato di Enrico Ameri se ne andavano quarant'anni abbondanti di un'Italia che nel frattempo era cambiata, si era evoluta, era peggiorata e si sarebbe scoperta di lì a poco anche più corrotta di prima, ma che non aveva mai rinunciato al più nazional-popolare dei suoi riti, altro che Festival di Sanremo: le dirette domenicali di "Tutto il calcio minuto per minuto", puntuali come il vassoio di pastarelle all'uscita dalle chiese, con la sacralità delle voci che si sovrapponevano, la maggior parte delle quali rispondenti a una geopolitica calcistica della cronaca; con il gracchiare sublime e inconfondibile della timbrica di Sandro Ciotti, che più la manopola centrava la frequenza e più il racconto, competente come nessun altro e al tempo stesso naïf, graffiava come cartavetrata le prime ore del pomeriggio domenicale; con lui, Enrico Ameri, a troneggiare da "dominus" del minutaggio su ogni altra partita.

A sentirlo raccontare da lui, il calcio lo si percepiva per ogni zolla sulla quale il gioco si sviluppava; lo avremmo visto sul serio un paio d'ore dopo nella sintesi di "Novantesimo Minuto", ogni volta trovando la conferma, nelle azioni salienti, di ciò che Ameri ci aveva fatto visualizzare attraverso quel tono di voce che faceva pensare al battito incessante dei martelletti di un qualche strumento a percussione su di un fondo metallico, con una specie di eco nitida nelle vocali che riusciva a sovrapporsi al clamore dello stadio dal quale trasmetteva.

 

Se quella di Ciotti, per distacco, era la voce più caratteristica e senza alcun termine di paragone possibile, inarrivabile era ed è il ritmo di Ameri: una partita lenta e noiosa, raccontata da lui subiva lo stesso effetto che un sapiente maquillage opera su un volto anonimo e slavato; il racconto di Ameri, di per se stesso, si sovrapponeva all'evento conferendogli comunque quel po' di sacralità e di pathos che lo sviluppo delle azioni in campo non riuscivano a produrre.

Il mese nel destino di Enrico Ameri 

Aprile il suo mese, al principio come alla fine: nacque a Lucca, per poi crescere a Genova, dove fu naturale per lui diventare tifoso rossoblù, il 15 del mese nel 1926; ha salutato il mondo il 7 aprile di venti anni fa, in una clinica di Albano. Un anno dopo Sandro Ciotti, un mese prima di Nando Martellini. Era entrato in RAI nel 1949, la sua prima radiocronaca fu Udinese-Milan della stagione 1954-55; per la radio raccontò anche la luna, la guerra in Indocina, il Nobel a Salvatore Quasimodo. Fu lui a ideare e condurre le prime due edizioni de "Il Processo del lunedì", prima che venisse riplasmato da Biscardi.

Quanto sarebbe ancora moderno e attuale il ritmo del suo racconto durante una partita? Moltissimo, forse oggi ancora più di ieri, perché torneremmo a capire la differenza tra chi non perde mai il ritmo e chi straparla per riempire i vuoti. Scusa, Ameri, se non abbiamo imparato la tua lezione.

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