Volk, il primo bomber della Roma

Volk, il primo bomber della Roma

Nacque il 14 gennaio 1906, fu soprannominato Sigghefrido per le fattezze nordiche ma anche Sciabbolone, morì quasi dimenticato il primo grande centravanti giallorosso

Redazione Edipress

14.01.2024 ( Aggiornata il 14.01.2024 08:01 )

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La sua storia dimostra che al bomber acclamato può corrispondere l’uomo alla fine dimenticato, con la rima malinconica di un oblio che certo non meritava, il centravanti delle prime volte della storia romanista. Era nato a Fiume, all’epoca impero austroungarico, il 14 gennaio del 1906; come calciatore, nella fattispecie attaccante poderoso e combattivo, si era affermato dalle sue parti, con la Gloria Fiume, prima di giocare sotto pseudonimo, nel 1926-27, con la Fiorentina, durante il servizio di leva. Nel 1927-28 un anno molto prolifico alla Fiumana, che gli vale le richieste della Roma e del Napoli: entrambe le società vorrebbero lui e il compagno Mihalich; ne scaturisce una diatriba che la Federazione risolve con pilatesca equità: lui alla Roma, l’altro al Napoli.

Le prime volte di Volk

Comincia così una storia di gol e di record con la maglia giallorossa per il fiumano Rodolfo Volk, che subito impressiona il pubblico per l’impatto dirompente sulle difese avversarie. Come, per esempio, nell’occasione rimasta la più celebre e memorabile, quella del primo derby contro la Lazio, fuori casa allo Stadio della Rondinella: 0-1 Volk, l’8 dicembre del 1929. Suo il primo gol nella stracittadina, dunque, come suo era stato il primo gol romanista in Serie A nell’ottobre del 1929 contro l’Alessandria e come suo sarà anche il primo della storia del club a Campo Testaccio contro il Brescia. Battesimo da primato per una storia lunga cinque stagioni, nel corso delle quali Volk riuscirà a diventare il primo attaccante romanista a vincere la classifica cannonieri e il primo ad andare oltre la soglia dei cento gol, visto che alla fine lascerà in dote 160 presenze punteggiate da 106 realizzazioni. Uno che nasce a Fiume, che nel 1924 era diventata italiana e oggi è Rijeka, in Croazia, sa dalla nascita che la Storia gli segnerà il destino. Lui c’era tornato, dopo il calcio, subendo ogni risvolto tragico dell’esodo giuliano-dalmata del quale i libri di scuola nulla raccontavano.

 

Gli ultimi anni 

Era poi tornato a Roma per fare l’usciere al CONI e nella sede del Totocalcio. È morto a Nemi, in un centro anziani, il 2 ottobre 1983, il centravanti che i tifosi avevano soprannominato Sigghefrido per le fattezze nordiche ma anche Sciabbolone, in antitesi al dispregiativo Sciaboletta che additava Vittorio Emanuele III. Meritava un epilogo diverso la vita del goleador che soleva ripetere: «Io non penso, io tiro».

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