Bologna e Genoa, uno scudetto tra calcio e pistole

Bologna e Genoa, uno scudetto tra calcio e pistole

Nel 1925 le due compagini si affrontarono ben cinque volte per guadagnare l’accesso alla finale del campionato. Tra invasioni di campo, risultati non omologati e spari

Paolo Valenti/Edipress

05.01.2024 ( Aggiornata il 05.01.2024 08:01 )

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“Passano cent’anni nel mio cuore come uno sparo dentro me”: cantava così Antonello Venditti negli anni Ottanta soffermandosi sulla fugace transitorietà del tempo. Una frase riutilizzabile per racchiudere in estrema sintesi le vicende che caratterizzarono la storia di Genoa e Bologna a metà degli anni Venti del secolo scorso, quando le due compagini si affrontarono più volte per la vittoria del campionato italiano e i loro tifosi parteciparono con foga eccessiva ai match nei quali si incrociarono, arrivando addirittura al ricorso alle armi. Vediamo di contestualizzare risalendo la corrente del tempo.


Il prologo

Siamo nel 1925 e in Italia non esiste il campionato a girone unico. Per vincere il titolo nazionale è necessario disputare la doppia finale di andata e ritorno che giocano le vincitrici di due Leghe distinte: quella del Nord, divisa in due gironi che raggruppano le squadre settentrionali, e quella del Sud, alla quale partecipano le compagini centro-meridionali. È in questo ambito che trovano spazio le sfide tra il Genoa, la squadra che ha dominato fino a quel momento il calcio italiano, e il Bologna, astro nascente di uno sport in costante espansione. Nella stagione 1924-25 in testa ai due giorni di Lega Nord arrivarono le due società rossoblù: i liguri si imposero nel girone A davanti al Modena mentre i felsinei arrivarono primi nel girone B sopravanzando Pro Vercelli e Juventus. Toccava a loro affrontarsi nella doppia finale che avrebbe portato alle due partite per l’assegnazione del campionato nazionale, da giocare contro la vincente della Lega Sud. Partite, a dire il vero, dal risultato praticamente scontato, visto il grande divario tecnico esistente all’epoca a vantaggio delle compagini della Lega Nord. Meno scontato, invece, fu l’esito degli incontri tra Genoa e Bologna che, originariamente programmato su due match, si prolungò in una storia quasi infinita che assunse i tratti del duello rusticano: una sfida durata cinque partite svoltesi tra i mesi di maggio e agosto di quel 1925 che andarono oltre il rettangolo di gioco. Per dettagliare il contesto va ricordato che, anche nella stagione precedente, la finale della Lega Nord era stata disputata da Bologna e Genoa. Due gare, tra andata e ritorno, caratterizzate da gravi intemperanze del pubblico, che aveva fatto capolino in campo sia a Genova che a Bologna dove, nella finale di ritorno, l’arbitro concesse un rigore ai padroni di casa per calmare le intemperanze dei tifosi, che più avanti lo costrinsero a sospendere anzitempo la partita. In entrambi i casi le società ospiti fecero ricorso ma solo quello del Genoa portò alla vittoria a tavolino mentre quello del Bologna comportò per i liguri la sanzione di una multa di mille lire. In forza di quei risultati (1-0 in casa, 0-2 in trasferta) i grifoni ottennero così il passaggio alla finale nazionale, nella quale, battendo il Savoia (3-1 a Genova, 1-1 fuori casa) ottennero il loro nono titolo. Era nata una rivalità che l’anno successivo sarebbe deflagrata, mettendo a dura prova le organizzazioni (Lega Nord e Federazione) che gestivano le competizioni calcistiche italiane.

Le prime due finali

Si cominciò il 24 maggio 1925 a Bologna, stadio Sterlino. Il Genoa era guidato da mister Garbutt mentre sulla panchina dei padroni di casa sedeva il tecnico Felsner. I campioni in carica andarono in vantaggio di due reti nel secondo tempo grazie ad Alberti (che fino a tre anni prima aveva giocato a Bologna) e Catto. Schiavio realizzò il gol della bandiera a un minuto dalla fine. Al ritorno a Marassi, disputato il 31 maggio, il medesimo risultato a favore degli ospiti (1-2) portò il Bologna allo spareggio. Già in quella seconda partita le intemperanze del pubblico finirono sui resoconti dei giornali. In particolare, i tifosi locali se la presero con l’arbitro Gama, che per lasciare incolume il campo dovette ricorrere alla protezione dei Carabinieri, di alcuni dirigenti del Genoa e del commissario di campo.

Lo spareggio di Milano

Il 7 giugno le squadre si affrontarono nuovamente sul campo neutro di Milano. L’esodo di entrambe le tifoserie fu massiccio: allo stadio del Milan arrivarono spettatori in soprannumero grazie a pullman e treni speciali. Una folla che, per carenza di spazio, tracimò letteralmente ai bordi del terreno di gioco spingendo Giovanni Mauro, l’arbitro della gara, a colloquio con il presidente della Lega Nord (nonché dell’Inter) Enrico Olivetti. Oggetto della discussione: la disputa della partita. Per l’arbitro, infatti, le condizioni di prossimità del pubblico alle linee di demarcazione del campo erano tali da non poter consentire in sicurezza lo svolgimento della gara. A fronte delle insistenze di Olivetti a dare comunque inizio al match, Mauro acconsentì, avvertendo il presidente di Lega che sarebbe stato lui il solo responsabile dell’andamento della gara, che alla fine del primo tempo vedeva il Genoa saldamente in vantaggio per 2-0 grazie ai gol di Catto e Alberti, già marcatori nella prima partita. L’episodio sul quale si avvitarono le sorti dell’incontro e le sue conseguenze regolamentari si verificò intorno al quarto d’ora della ripresa quando, dopo un tiro di Muzzioli che aveva inquadrato lo specchio della porta difesa da De Prà, l’arbitro indicò il calcio d’angolo. Decisione che scatenò un putiferio, dal momento che per i bolognesi il pallone, prima di essere deviato dal portiere, aveva varcato la linea di porta. Mauro fu accerchiato, non solo dai giocatori, ma anche dal pubblico di parte emiliana, che era entrato in campo per sostenere con eccesso di veemenza le proprie ragioni. Dopo un quarto d’ora di discussioni, e contrariamente alla prima decisione (che era quella che realmente lo convinceva), l’arbitro concesse il gol, poi bissato da Pozzi. Una terza rete felsinea di Della Valle venne annullata per fallo sul portiere. Il pareggio destò nei giocatori liguri una sorta di ammutinamento che non permise lo svolgimento dei tempi supplementari. Il Genoa, infatti, si rifiutò di continuare oltre il 90’ avendo sostenuto alcuni suoi giocatori che Mauro, dopo la convalida del gol di Muzzioli, avrebbe detto al capitano De Vecchi che per lui la partita era finita in quel momento e che sarebbe continuata solo per evitare ulteriori problemi legati all’ordine pubblico. Motivo per cui, anche al fine di evitare malintesi, i liguri non vollero giocare i supplementari e fecero ricorso per ottenere la vittoria a tavolino. Anche il Bologna fece ricorso, basandolo sull’irregolarità del rifiuto degli avversari a disputare gli ulteriori trenta minuti. Entrambi furono respinti dal Consiglio della Lega Nord che, sulla pregiudiziale posta dall’arbitro Mauro relativa all’irregolarità della partita “per le gravi condizioni di ambiente e di costante parziale invasione di campo in cui essa si svolse”, non omologò il risultato e dispose la ripetizione dello spareggio che si svolse a Torino, sul campo della Juventus, il 5 luglio 1925.


La partita degli spari

Anche in quell’occasione le due squadre si equivalsero. I tempi supplementari, questa volta regolarmente disputati, non seppero trovare un vincitore dopo che i novanta minuti erano terminati sull’1-1 grazie alle marcature di Schiavio e Catto. Ciò che caratterizzò quel quarto confronto e che battezzò quella stagione, però, più che sul terreno di gioco accadde alla stazione di Porta Nuova, dove i tifosi delle due fazioni si azzuffarono. Durante gli scontri, dalle carrozze del treno che trasportava i bolognesi vennero sparati dei colpi di pistola che causarono il ferimento di due genoani e il montare di nuove, infinite polemiche. Anche perché i responsabili di quegli spari non vennero mai individuati. In un Paese in cui andavano di moda manganelli e olio di ricino, il ricorso alla violenza contagiava pesantemente anche il calcio.


L’ultimo match

L’ultimo incontro si decise che si sarebbe giocato il 9 agosto a Milano, a porte chiuse, alle sette del mattino. Il prefetto di Torino, città inizialmente indicata per lo svolgimento del match, dopo i fatti della sparatoria alla stazione si rifiutò di ospitare nuovamente l’evento. Il terreno di gioco prescelto fu quello di Vigentino, sul quale le squadre si affrontarono nell’ultima battaglia, vinta questa volta senza grandi discussioni dal Bologna con un 2-0 firmato da Pozzi e Perin. In realtà, gli estremi per innescare una nuova polemica ci sarebbero stati, dal momento che il giorno prima della partita il dirigente del Bologna Sabattini e il tecnico Felsner si recarono presso il campo di gioco e si accordarono col custode (al quale “regalarono” venti lire) affinché l’indomani venissero usati i palloni che loro gli stavano consegnando invece di quelli in dotazione alla struttura. Un episodio emerso solo molti anni dopo e diventato famoso come “l’affare dei palloni” che avrebbe sicuramente potuto aprire un nuovo, acceso confronto nei dibattiti pubblici di quell’anno. Ma quella sfida tra la nobiltà del calcio italiano e i nuovi protagonisti che stavano emergendo con forza per conquistare spazio e prestigio, aveva già dato spunti sufficienti alla carta stampata che, grazie alle parole limpide di Vittorio Pozzo, sulle pagine de Il Calcio del 22 agosto 1925 chiudeva così quella vicenda: ”Il Campionato della Lega Nord, ha avuto come quadro d'assieme e come organizzazione, un epilogo che lascia tristi e pensierosi per l'avvenire del giuoco, ma ha per lo meno avuto un risultato sportivamente giusto: ha vinto la squadra che si trovava nelle migliori condizioni fisiche e che disponeva delle migliori doti tecniche”.
La vittoria del campionato, il primo per gli emiliani, venne formalizzata dal doppio confronto con l’Alba Roma, battuta 4-0 a Bologna e 0-2 in trasferta. Ma l’eco delle pistole che caratterizzarono quello scudetto ha varcato le soglie del secolo fino ad arrivare ai nostri giorni: nel 2019, infatti, il Genoa ha chiesto alla Federcalcio di valutare la possibilità di assegnarlo ex aequo. Sarebbe il decimo per il Grifone: un campionato lungo un secolo, uno scudetto che varrebbe una stella.

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