Tommaso Rocchi: Lazio, Delio Rossi, Di Canio, Pandev e quei mesi all'Inter

Tommaso Rocchi: Lazio, Delio Rossi, Di Canio, Pandev e quei mesi all'Inter

«Otto anni in biancoceleste e due trofei alzati con la fascia: non lo potrò mai dimenticare. Con l’Inter il mio 100° gol in A». Parla l'ex bomber dei biancocelesti, con un'esperienza in nerazzurro

Paolo Colantoni/Edipress

18.12.2023 ( Aggiornata il 18.12.2023 20:31 )

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Alla Lazio ho giocato otto anni e mezzo: sono arrivato in una squadra che è ripartita quasi da zero e l’ho lasciata dopo averla portata in Champions League e aver alzato al cielo due coppe da capitano. La Lazio è gran parte della mia vita e con un pizzico di orgoglio posso dire che guardandomi alle spalle penso di aver lasciato un segno indelebile nella storia biancoceleste». Tommaso Rocchi ha vestito la maglia della Lazio dall’agosto del 2004 al gennaio del 2013. Ha segnato 105 gol e ha contribuito a scrivere alcune tra le pagine più belle della storia del club romano. A gennaio del 2013 passò all’Inter. «È chiaro che le due esperienze non possono essere paragonate: a Roma ho giocato otto anni e mezzo contro i sei mesi a Milano. Ma l’esperienza all’Inter è stata comunque bella e gratificante, e mi ha permesso di segnare il centesimo gol in Serie A».

Rocchi, partiamo dall’inizio, lei è uno dei famosi “nove in un giorno”. Gli acquisti che Lotito, da pochi mesi presidente della Lazio, realizzò nell’ultimo giorno di mercato nel 2004.
«Lo ricordo benissimo. Fu una piccola telenovela. L’Empoli promise a me e Di Natale, i giocatori più rappresentativi di quella squadra, che ci avrebbe fatti partire. Ma non voleva prestiti: se ci fosse stato un club disposto ad acquistarci in modo definitivo, l’Empoli non avrebbe fatto storie. L’ultimo giorno sono partito per Milano a seguire le operazioni da vicino. Ma ci furono tanti problemi».

Quali?
«Di soldi ne giravano pochi, un po’ come ora: tutti offrivano prestiti secchi. Poi, all’improvviso mi chiama il mio procuratore e mi dice che c’è questo presidente nuovo, Lotito, che mi vuole alla Lazio. Non ho voluto sentire altro. Calcola che chiudemmo alle 18, e un’ora dopo il mercato chiudeva».

La Lazio era in fase di ristrutturazione.
«Per noi nuovi, paradossalmente, fu anche meglio. Io venivo da Empoli: provare a farmi spazio nella Lazio che fino a pochi anni prima dominava in Italia e in Europa non sarebbe stato facile. Così ho avuto certamente meno pressioni. Il primo anno fu duro, Caso fu sostituito, arrivò Papadopulo. Io comunque sono riuscito a fare 17 gol».

Su tutti, quello del derby del 6 gennaio.
«Quello fu una sorta di battesimo della lazialità. Io ho vissuto tutta la vigilia con Paolo Di Canio...».

Che le diceva?
«Una furia. Mi diceva: “Tu non ti rendi conto dell’importanza della partita, lo stadio pieno, quanto conta per i tifosi... Te ne accorgerai solo quando entreremo in campo”. Poi iniziò a farmi vedere i film: prima Braveheart, poi Ogni Maledetta Domenica. Lui diceva che non si poteva dormire. Ma ad un certo punto non ho retto. Gli ho detto che se non avessi dormito, lo avrei fatto in campo il giorno dopo (ride, ndr)».

Prima Di Canio, poi Pandev, come compagni di reparto.
«Con Paolo sono stato due anni in camera insieme. Mi ha insegnato tanto. Con Goran abbiamo composto una coppia eccezionale. Le mie caratteristiche e le sue si sposavano benissimo. Se riguardi anche le partite, si vede come ci completavamo a vicenda. E alla fine io ho fatto 105 gol e lui più di 50».

Il gol più bello segnato con la maglia della Lazio?
«Difficile dirlo. Io li distinguo sempre in due categorie: quelli importanti e quelli belli. Tra gli importanti ce ne sono alcuni nei derby che hanno il loro peso, o la doppietta in Champions al Werder Brema. A livello estetico credo che quello segnato a Cagliari con stop, controllo e tiro a giro sotto l’incrocio, sia tra i migliori. Così come quello contro la Sampdoria, dopo un uno-due con Goran, ho tirato di sinistro scavalcando il portiere. Ce n’è anche uno all’Udinese, dopo aver dribblato tre difensori ho chiuso con un pallonetto di sinistro. E poi c’è quello di Pechino....».

Nella finale di Supercoppa italiana con l’Inter di Mourinho...
«Quel gol è un mix di bellezza e importanza. Nacque dal nulla, da una palla giocata da Mauri dopo una rimessa, ma io avevo capito che lui avrebbe fatto quella giocata e sono andato a dettargli il passaggio. Poi il gol a pallonetto sull’uscita del portiere. Quello è sia bello che importante».

Lei è arrivato in un momento difficile e ha lasciato la Lazio alzando al cielo due coppe con la fascia di capitano.
«Nella mia vita io ho sempre cercato di migliorare. Ho iniziato nella Primavera della Juve, ma ho preferito scendere di categoria per giocare e provare a crescere: Pro Patria, Fermana, Saronno, Como in C, poi il Treviso in B e infine l’Empoli. La Lazio è stata l’apice, il momento più bello, ma anche a Roma sono partito da un momento difficile: io e la Lazio siamo cresciuti insieme».

Tra i tecnici che ha avuto a Roma chi ricorda di più?
«Con Delio Rossi ci fu un bel feeling. Io ero un attaccante perfetto per la sua idea di calcio. Mi sono trovato benissimo anche con Reja, un tecnico di un’umanità incredibile».

Con la Nazionale?
«Sono stato convocato subito dopo la vittoria dei Mondiali: non ho giocato tanto, ma far parte di quel gruppo non era certo facile. Nel 2008 da fuori quota giocai le Olimpiadi. In allenamento Ranocchia mi colpì al perone in allenamento: la prima non la giocai, la seconda gioco con la Corea del Sud, segno, ma alla fine non riesco più a camminare. Avevo il perone rotto».

Chi ricorda dei suoi ex compagni?
«Con Pandev e Mauri scambiavamo di più il pallone, visto che eravamo quelli che chiudevano l’azione. Ma ho avuto un grande feeling anche con Ledesma, che palleggiava benissimo e sapeva trovarmi a occhi chiusi. Il gol a Cagliari, il numero 100 con la Lazio, è emblematico: dalle immagini si vede che è bastato uno sguardo per capirci».

A gennaio del 2013 il passaggio all’Inter.
«Ero in scadenza con la Lazio: probabilmente se fossi rimasto alla fine sarei stato il capitano che alzava al cielo la coppa del 26 maggio, ma lo spazio era poco. Potevo restare e pensare già al dopo carriera, ma mi sentivo ancora calciatore e l’Inter fu una grande chance».

A Milano sei mesi e 3 gol.
«Un’organizzazione societaria perfetta: ho avuto l’occasione di giocare sei mesi con gente come Cambiasso, Zanetti, Milito. All’Inter ho segnato il gol numero cento in Serie A. Sarei dovuto rimanere un’altra stagione, ma poi in estate Moratti andò via, arrivò un’altra società, con un tecnico nuovo. E le cose cambiarono. Ma è stata comunque un’esperienza bellissima».

C’è una partita che vorrebbe rigiocare?
«Vorrei ritirare il rigore a Madrid al 90’, perché segnare al Bernabeu sarebbe stato bello, e poi rigiocherei il derby del 2010. O almeno il secondo tempo. Nel primo segnai, poi Floccari sbagliò il rigore. Se potessi, lo andrei a calciare io».

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