Luca Marchegiani: «La mia Lazio diventò grande a Madrid»

Luca Marchegiani: «La mia Lazio diventò grande a Madrid»

Intervista al portiere dell'era più vincente dei biancocelesti. Tra i ricordi la doppia sfida con l'Atletico nelle semifinali di Coppa Uefa del 1998: «Fu lì che capimmo subito di aver fatto il salto di qualità» 

Paolo Colantoni/Edipress

13.12.2023 ( Aggiornata il 13.12.2023 15:36 )

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Una vittoria prestigiosa che apre alla Lazio le porte della sua prima finale europea. Il 31 marzo del 1998, la Lazio di Sven-Göran Eriksson, batte 1-0 in trasferta l’Atletico Madrid. A segnare il gol decisivo fu Vladimir Jugovic; a conservare il risultato, arrivarono le parate di Luca Marchegiani, portiere di quella Lazio: «È stata una grande partita contro un avversario forte, molto temuto. Una delle gare che ci ha fatto capire che eravamo diventati grandi. L’Atletico Madrid era una squadra prestigiosa, composta da giocatori fortissimi, che due anni prima avevano vinto lo scudetto. E l’ossatura di quella squadra era formata da tutti i calciatori che avevano trionfato poco prima. Rosa alla quale si era aggiunto anche Bobo Vieri».

Che poi vi siete ritrovati in squadra a distanza di qualche mese...
«Era il capocannoniere del campionato spagnolo, che aveva fatto dei gol mostruosi. A livello nazionale era al top: si stava affermando a livello internazionale ed era molto temuto da tutti».

Che ambiente avete trovato?
«Caldissimo. I tifosi dell’Atletico Madrid sono molto attaccati alla squadra e creano sempre un’atmosfera molto calda. La stessa che troverà oggi la Lazio, anche se ci sono poche cose in comune con oggi: lo stadio era diverso, le squadre erano diverse. Ma il calore sarà lo stesso».

Che partita fu quella giocata a marzo del 1998?
«Una partita dura, contro un avversario ostico e ben messo in campo. Siamo stati favoriti dall’aver trovato il gol nel primo tempo. Segnare in trasferta, in una gara che si gioca in 180’ è stato un bel vantaggio, che ci ha permesso di gestire bene la sfida e la gara di ritorno».

A segnare fu Vladimir Jugovic, che poi in estate passò all’Atletico Madrid. Quanto fu importante il suo inserimento all’interno di quel gruppo?
«Lui aveva vinto la Champions League con la Juventus. Portò una grande mentalità: un giocatore di poche parole, ma di grande sostanza. È stato uno di quelli che ha contribuito tantissimo alla crescita della squadra. Conosceva bene Eriksson, Mancini e questo lo aiutò tantissimo ad inserirsi e a portare nel gruppo quella spinta che fu poi decisiva per i successi che abbiamo ottenuto in seguito».

Quella stagione iniziò con l’arrivo di Mancini, proseguì con l’addio di Signori e si chiuse con le finali di Coppa Italia e di Coppa Uefa...
«Fu l’anno in cui ci rendemmo davvero conto che potevamo lottare per i massimi obiettivi. Essere arrivati in finale di Coppa Uefa ed aver vinto la Coppa Italia ci ha fatto fare quel salto di mentalità che negli anni successivi ci ha portato a lottare per ogni competizione. E la Lazio non era storicamente abituata a questo. Capimmo che ce la potevamo giocare con tutti».

La Lazio batte l’Atletico Madrid e vola in finale, dove perde con l’Inter. Tempo fa Nesta dichiarò di non avere rimpianti su quella sfida, perchè Ronaldo era davvero imprendibile. È d’accordo?
«Sì. Nesta ha ragione. Ronaldo quella sera fece la differenza».

 

Ma la Lazio in campionato con i nerazzurri collezionò un pareggio a Milano (1-1) e una vittoria 3-0 in casa. Nell’arco della stagione non fu inferiore ai nerazzurri.
«Ma quella sera Ronaldo era immarcabile. Fece una gara che ancora oggi la raccontano. Noi arrivammo a quella finale stanchi, con qualche problema di formazione: arrivammo in fondo a tutte le competizioni e subentrò un po’ di stanchezza e qualche infortunio di troppo. E forse quella vittoria in campionato non ci aiutò: forse inconsciamente pensammo che non avremmo trovato tutte quelle difficoltà che invece ci furono. Passammo in svantaggio dopo pochi minuti e regalare le ripartenze all’Inter fu deleterio».

La stagione successiva arrivò la vittoria in Coppa delle Coppe, poi lo scudetto. Nel segno di un giocatore che ha fatto la storia di Lazio e Atletico Madrid: Diego Simeone.
«Ho una stima enorme di Simeone. Nella Lazio è stato decisivo: quando abbiamo recuperato punti alla Juve, lui è stato fondamentale. Quella stagione non fu sempre titolare. A volte giocò Sensini, a volte Almeyda, ma lui ha avuto il merito di essere decisivo nel momento in cui serviva. La sua più grande qualità, da giocatore e da tecnico, è che è sempre focalizzato su ciò che serve per ottenere il risultato».

Luca Marchegiani è il portiere dello scudetto, delle vittorie nelle coppe, dei successi nei derby. A distanza di anni, c’è una cosa che le dà più soddisfazione pensando alla sua esperienza alla Lazio?
«Non c’è una cosa specifica. Io sono orgoglioso di ciò che ho fatto a Roma: di aver legato il mio nome a questo club e di aver vinto tanto. Per me è sempre stato fondamentale sentire il senso di appartenenza. Mi piace legarmi alle persone, all’ambiente e credo di essere stato apprezzato per ciò che ho fatto. Ho avuto anche la fortuna di giocare in questo club in un momento straordinario. Nella storia della Lazio ci sono stati sicuramente gruppi più epici: penso alla squadra del 1974 ad esempio. Ma noi siamo quelli che abbiamo regalato continuità di vittorie».

La partita che le è rimasta più nel cuore?
«Per quello che ha rappresentato, sicuramente la Supercoppa Europea con il Manchester United: un avversario fortissimo. È stato il momento in cui abbiamo dimostrato di poter battere i più forti».

La parata più bella?
«Io non ero uno che faceva parate da copertina: ero un portiere tecnico, con buon senso della posizione, che amava essere più efficace che spettacolare. Se devo scegliere, ti dico una parata su un colpo di testa di Scholes durante la finale di Supercoppa Europea».

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