Francesco Moriero tra Ronaldo, gli anni di Napoli e... Zeman

Francesco Moriero tra Ronaldo, gli anni di Napoli e... Zeman

Il doppio ex di azzurri e nerazzurri racconta le sue esperienze, i rimpianti, le gioie

Paolo Colantoni/Edipress

03.12.2023 ( Aggiornata il 03.12.2023 16:17 )

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«Napoli e Inter rappresentano due piazze alle quali sono davvero tanto legato. Anche se rappresentano due esperienze completamente diverse. All’Inter ho vissuto tre anni bellissimi, vincendo una Coppa Uefa, giocando la Champions e trovando una squadra che ha saputo farmi esprimere al meglio. A Napoli purtroppo non sono riuscito a ripagare appieno la fiducia, a causa di una lunga serie di problemi e di un lungo infortunio. Mi resta l’amore della gente, il Maradona, che all’epoca si chiamava San Paolo, sempre pieno, e l’entusiasmo di una piazza che non può non rimanerti nel cuore». Francesco Moriero ha giocato tre anni a Milano, sponda Inter, e due stagioni al Napoli. Con i nerazzurri è stato protagonista di stagioni intense, che lo hanno portato a vestire la maglia della Nazionale e a partecipare alla spedizione mondiale del 1998 in Francia. A Napoli è stato condizionato da un brutto infortunio e da una serie di vicissitudini societarie, che hanno colpito il club azzurro. «Ma andare a giocare a Napoli è sempre stato il mio sogno. Ho sempre sperato di poter vestire quella maglia. E quei due anni rappresentano il mio più grande rammarico della carriera».

Addirittura?
«Giocare e vivere a Napoli è bellissimo. Avevo sempre immaginato di poter giocare in quello stadio, con quel calore. Purtroppo in due stagioni sarò riuscito a ripagare l’affetto della gente in quattro o cinque partite. Non di più. E il rimpianto è enorme».


A Napoli trovò Zdenek Zeman.
«Fu la fine di un lungo inseguimento. Quando giocavo al Lecce, lui mi voleva a tutti i costi al suo Foggia. La squadra che fece la storia. Io sarei andato di corsa da lui, perchè resto convinto che le mie caratteristiche si sposavano alla perfezione al suo gioco. Ma alla fine venni ceduto al Cagliari. Quando Zeman allenava la Lazio, fui ad un passo dal trasferimento nella Capitale, ma l’operazione non si concretizzò e io andai alla Roma. Fui ceduto all’Inter l’anno che Zeman arrivò alla Roma. Sembravano due strade destinate a non incrociarsi mai. Poi l’estate del 2000 i nerazzurri mi cedettero al Napoli di Zeman. Purtroppo la sua esperienza durò solo poche partite».

Cosa ricorda di quel Napoli?
«Era una buona squadra. Faccio solo due nomi: Edmundo e Stellone, oltre al sottoscritto. Purtroppo quel Napoli pagò i problemi societari. Siamo retrocessi, ma non lo meritavamo. Sotto il profilo sportivo fu un anno disastroso, dal punto di vista ambientale, difficilmente ho trovato una tifoseria così vicina alla squadra. Anche la stagione successiva, quando eravamo in Serie B, allo stadio c’erano 50.000 persone. Sfido a trovare una situazione simile. Il calore dei tifosi si è sempre sentito. Io purtroppo ho potuto dare un contributo minimo a causa del mio infortunio: sono stato fermo più di sei mesi e non mi sono mai ripreso del tutto».

Al Napoli ha segnato una rete.
«Contro il Bologna, nella mia prima partita giocata al San Paolo. Purtroppo perdemmo male quella partita, ma mi resta la soddisfazione di aver segnato un bel gol».


La partita più bella giocata con il Napoli?
«Ne ricordo due, in entrambe da subentrato: la prima contro il Milan. Rischiammo di vincere una gara che giocammo alla morte. La seconda contro la Roma, alla penultima giornata. I giallorossi potevano vincere lo scudetto in caso di successo, ma noi gli rimandammo la festa».

La partita più bella disputata con l’Inter invece?
«Con lo Strasburgo in casa, in Coppa Uefa. Dovevamo rimontare la sconfitta nella gara d’andata: vincemmo 3-0 e feci una partita bellissima. Sicuramente quella che ricordo con più affetto».

Nell’Inter ha avuto l’occasione di giocare con Ronaldo, il Fenomeno.
«Non ho timori a dire che, dopo Maradona e Pelè, c’è lui. Quello che ho visto fare a lui io non l’ho mai rivisto in nessun altro. Molti giudicano quello che era in grado di fare in campo, e tutti hanno avuto modo di vedere di cosa fosse capace. Ma io ho avuto la fortuna di vederlo in allenamento: faceva delle cose che una mente normale non poteva neanche immaginare di fare».

In quell’Inter, Ronaldo non era l’unico fuoriclasse...
«C’era Baggio, c’era Christian Vieri, c’erano tanti fuoriclasse: ma lui era di un altro livello. E poi c’è una caratteristica che lo ha sempre contraddistinto...».

Quale?
«Che nonostante fosse un fuoriclasse assoluto, il Pallone d’Oro, un giocatore capace di fare la differenza sempre, era lui che si metteva a disposizione della squadra e non viceversa. Si allenava sempre bene, ti stimolava continuamente. Io cercavo di studiarlo durante l’allenamento, per capire i suoi movimenti, come voleva la palla. Ma per me e per i miei compagni era molto semplice: a volte bastava solo servirlo».

Con l’Inter c’è un gol che ancora oggi viene riproposto in alcune sigle televisive.
«In Coppa Uefa sul campo del Neuchâtel Xamax. Una rete in rovesciata. In quel gol c’è tutto ciò che rappresenta il Moriero giocatore: estroso, istintivo. Emerge la voglia di provare a fare qualcosa che possa piacere e far divertire. È sempre stata una mia caratteristica. Diciamo la verità, io non ho fatto tanti gol, ma tutti belli (ride ndr.)».

Sulla panchina di quell’Inter c’era un altro doppio ex particolarmente amato: Gigi Simoni.
«Una persona fantastica, per me rappresenta l’allenatore ideale. In primis un grande signore, poi uno che era bravissimo a creare un gruppo e a far sentire tutti importanti. Era in grado di non farti sentire la pressione prima di una gara e ti lasciava libertà di esprimerti in campo. Uno di quei tecnici che riescono ad entrarti dentro. E per i quali non puoi non nutrire un grande rispetto».

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