Boninsegna: 80 anni di una leggenda

Boninsegna: 80 anni di una leggenda

Icona del calcio popolare degli anni Sessanta e Settanta, Bonimba ha segnato un'epoca di Cagliari, Inter e Juventus 

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In una delle Coppe del Mondo in assoluto più memorabili nella storia degli Azzurri, vale a dire quella disputata in Messico nel 1970, è lui l’autore del vantaggio contro la Germania, all’ottavo minuto del primo tempo regolamentare, nella storica semifinale vinta poi dall’Italia per quattro a tre nei tempi supplementari; nella finale contro il Brasile, persa per quattro a uno dall’Italia, è lui che firma il momentaneo pareggio poco prima della fine del primo tempo, dopo il vantaggio iniziale siglato da Pelé per i sudamericani. Giocherà anche la Coppa del Mondo del ‘74 in Germania Ovest.

Segnava regolarmente di piede come di testa, sfruttando per il gioco aereo una spinta dei quadricipiti superiore alla media, che gli garantiva stacchi poderosi e una “permanenza” in sospensione. Inoltre, a impinguare il compendio delle doti, le sue abilità di lottatore, nel cuore dell’area di rigore: non era solamente un centravanti che accettava senza problemi i corpo a corpo e le “attenzioni” che i difensori dell’epoca riservavano alle punte avversarie; lui il duello andava a cercarselo, lo provocava per primo, perché anche quello era un terreno congeniale alla sua tempra di attaccante.

E poi fu Bonimba

 

Gianni Brera, che tra le tante doti che ne esaltavano il genio descrittivo annoverava anche quella di affibbiare ai grandi sportivi soprannomi originali, che ne avrebbero connotato le carriere in modo indelebile, pensò di chiamarlo “Bonimba”, una sorta di crasi tra il cognome e le iniziali della parola Bagonghi, un’espressione quasi ottocentesca e un poco discriminatoria che un tempo veniva adoperata per indicare i nani del circo. Comprensibile che il campione del quale celebriamo la nascita, poi divenuto più semplicemente “Bobo” un po’ per tutti, non amasse molto quella parola.

Sempre a giudizio di Gianni Brera, lui era uno dei due centravanti più forti al mondo, tra la fine degli anni Sessanta e, perlomeno, la prima metà dei Settanta. L’altro era Gigi Riva, il che rende ancora più lusinghiera l’investitura per Roberto Boninsegna, ottant’anni oggi, nato a Mantova come Virgilio ma, a differenza dell’autore dell’Eneide e guida immaginata da Dante nei regni dell’Inferno e del Purgatorio, poco propenso ad accompagnare chicchessia, in area: Boninsegna nei sedici metri era uno che si metteva sempre in proprio; meglio: che pretendeva mettersi in proprio e dava per scontato che ali e mezze ali giocassero esclusivamente su e per lui.

Lungo il corso di una carriera ventennale ha sempre trasformato i rifornimenti in fremiti di rete, attraverso un campionario realizzativo che gli ha consentito di prescindere dalle proporzioni fisiche, che già all’epoca non erano quelle di un corazziere, visto che parliamo di settantadue chilogrammi di peso forma distribuiti lungo una statura che arriva a sfiorare il metro e settantacinque.

 

 

Boninsegna: Cagliari, Inter, Juventus

 

Prima di illustrare quella che è stata la sua carriera a livello di club, bisognerebbe far capire ai più giovani chi sia stato Boninsegna a livello di impatto popolare per gli sportivi italiani e per la cultura di massa, dati gli episodi memorabili, ai quali abbiamo fatto riferimento all’inizio, che lo hanno visto protagonista con la maglia della Nazionale italiana, che ha indossato per ventidue volte, mettendo a segno complessivamente nove reti.

Riavvolgendo il nastro dei ricordi e dei numeri, sempre lusinghieri dagli esordi in poi, a livello di club Boninsegna sboccia nelle giovanili dell’Inter nella prima metà degli anni Sessanta: la Grande Inter di Herrera, il quale preferisce mandare il ragazzino a farsi le ossa in provincia, come si diceva un tempo, invece che aggregarlo subito a quella straordinaria prima squadra. Il suo viaggio comincia a Prato, in B, nell’estate del 1963; l’anno seguente è a Potenza, sempre tra i cadetti, con una prima “esplosione” a livello di gol, nove. La prima Serie A col Varese nel 1965-66, poi uno degli approdi più fortunati di una carriera (anche) da predestinato: l’emergente Cagliari di fine anni Sessanta, “officina” preparatoria dello storico scudetto del 1970. Boninsegna vi trascorre tre stagioni, fino alla stagione 1968-69, bagnata da un secondo posto da record, prima del Tricolore dell’anno seguente. In Sardegna, complessivamente, trentasei reti in 108 presenze, oltre alla partnership offensiva con Gigi Riva.

Quando i suoi ex compagni diventano Campioni d’Italia, lui è già tornato all’Inter, dove trascorrerà sette stagioni, fino all’estate del 1976, totalizzando 173 gol in 287 presenze e vincendo lo scudetto del 1971.

 

Scambiato con “Pietruzzu” Anastasi in quell’estate del ‘76, finisce a malincuore alla Juventus, per un trasferimento tra i più discussi nella storia del calciomercato in Italia. Fase matura ma non declinante della carriera di Boninsegna, quella vissuta con i bianconeri: tre stagioni, due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Uefa; trofei ai quali contribuisce portando in dote, nel corso di novantaquattro presenze, trentacinque reti.

Le ultime due stagioni da calciatore le trascorre a Verona in B nel 1979-80 e in Serie D con la Viadanese l’anno seguente.

Al termine di una carriera fulgida come poche, Roberto Boninsegna con squadre di club ha messo insieme 286 reti in 624 presenze. Chapeau.

 

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