C’era una volta Renato Curi

C’era una volta Renato Curi

Il baffuto centrocampista morì durante un Perugia-Juventus nello stadio che oggi porta il suo nome

Paolo Marcacci/Edipress

20.09.2023 ( Aggiornata il 20.09.2023 13:01 )

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Potremmo cominciare dal nome dello stadio, che custodisce la storia, spezzata senza preavviso, di un uomo. Diciamo che il vecchio impianto cittadino, per quanto collocato in una posizione invidiabile e suggestiva, ovvero in prossimità del centro storico, già prima della promozione in Serie A del Perugia risultava ormai vecchio e obsoleto, ai limiti della fatiscenza. Però, nella primavera del 1975, l’approdo alla massima categoria aveva reso non più procrastinabile la costruzione di un nuovo impianto, più moderno e fruibile, da collocare in un’area decentrata anche per far fronte all’esigenza dei parcheggi. Fu così che in sedici settimane circa vennero compiuti i lavori che portarono all’inaugurazione dello stadio “Pian di Massiano”, perché a livello di denominazione veniva identificato con la località dove era sorto; anche se i tifosi lo chiamavano “Ferro di cavallo” poiché mancante della Curva Sud, che sarebbe stata completata e inaugurata soltanto nel 1979. Nel frattempo, dobbiamo aggiungere purtroppo in questo caso, la nuova casa del Perugia aveva dovuto cambiare nome e mai battesimo fu più doloroso: dal 1977 è infatti diventato lo stadio intitolato a Renato Curi.

Renato Curi, storia di un centrocampista

 

Baffuto centrocampista nativo della provincia di Ascoli Piceno, Curi, classe 1953, la domenica del 30 ottobre 1977 era in campo proprio a Pian di Massiano, contro la Juventus, perché era riuscito a forzare i tempi per recuperare, abbastanza sorprendentemente, dopo un infortunio. Il Perugia stava disputando un campionato di tutto rispetto, avendo agganciato la vetta della classifica in condominio con Genoa, Milan e la stessa Juventus. Gli umbri esprimevano, sotto la guida di Ilario Castagner, un calcio a suo modo “totale”, realmente evolutivo secondo i dettami olandesi dell’epoca, ma impastato e impostato con la saggezza tattica del maestro di Vittorio Veneto. Quella domenica l’impianto sfiorava il tutto esaurito, vuoi per il nome della squadra avversaria, vuoi per l’entusiasmo che Curi e compagni stavano veicolando in città con le loro prestazioni.

La tragedia

Dopo un primo tempo combattuto ed equilibrato, funestato da un intenso acquazzone autunnale, la ripresa era iniziata su un terreno allentato, con Curi che dopo un pugno di minuti inizia lungo la fascia lo scatto che non avrà mai la possibilità di concludere, perché rovina faccia a terra dopo pochi secondi: un improvviso, inesorabile arresto cardiaco. Gli sportivi più anziani ricorderanno un raggelante cambio di voci, durante la diretta di “Tutto il calcio minuto per minuto”, con una delle tante richieste di linea rivolte da Sandro Ciotti a Enrico Ameri. Ma in quel caso non si trattò dell’annuncio di una rete, o della concessione di un calcio di rigore. Nemmeno di qualche protagonista portato ai microfoni di Radio Rai al termine della gara. La stessa voce, inconfondibile, come carta vetrata a grana grossa strofinata contro il ritmo delle mille azioni scandite dal minutaggio della descrizione, che poco più di un anno prima, nel maggio del 1976, aveva chiesto la linea per dare la notizia del gol di Curi contro la Juventus. Il gol che consegnava al Torino il suo storico e finora unico scudetto vinto nell’era moderna. Segnato proprio a “Pian di Massiano” dal baffuto centrocampista, ordinato e dinamico, che prima di approdare al Perugia nel ‘74 aveva giocato a Giulianova e a Como, dove Castagner lo aveva notato. - Scusa Roma, qui a Perugia il Perugia è passato in vantaggio, rete di Curi su cross da destra di Novellino… -

- Devo annunciare che il centrocampista Curi è morto -: così invece lo stesso Ciotti quel 30 settembre 1977, in un’epoca in cui in alcuni stadi di provincia era complicato far arrivare un’ambulanza e la presenza di un defibrillatore, dispositivo inventato solo qualche anno prima dal medico statunitense Claude Beck, non era mai stata nemmeno ipotizzata. La stessa voce, per raccontare la più grande soddisfazione della vita così breve di un uomo e la sua morte ancora più breve, dalla medesima cabina delle dirette radiofoniche dello stesso stadio. Quello stadio dove Renato Curi ha lasciato, letteralmente, il cuore, ha avuto e avrà per sempre il suo nome.

 

 

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