Manuel Pellegrini, la costruzione del calcio dal Villarreal al Betis Siviglia

Manuel Pellegrini, la costruzione del calcio dal Villarreal al Betis Siviglia

Laureato in ingegneria civile, l’ex tecnico del Real Madrid propone con le sue squadre un gioco che unisce la praticità europea e l’inventiva latinoamericana

Paolo Valenti/Edipress

16.09.2023 ( Aggiornata il 16.09.2023 14:11 )

  • Link copiato

Santiago del Cile è una città complessa, che alla localizzazione geografica pienamente sudamericana combina un’influenza europea che si esprime con evidenza nell’aspetto architettonico della città. Due culture, quella latinoamericana ed europea, diverse anche se profondamente legate dalle vicende che storicamente le hanno avvicinate e che, in ambito calcistico, hanno dato origine a modalità espressive differenti, in passato ben polarizzate, oggi meno accentuate per via di quel processo di globalizzazione delle competenze che ha caratterizzato il calcio negli ultimi vent’anni. Di questo processo di globalizzazione non è un caso che Manuel Pellegrini sia un esponente di rilievo.


Le origini: il corso a Coverciano

 

Nato proprio a Santiago del Cile il 16 settembre 1953, l’attuale tecnico del Betis Siviglia porta nelle vene sangue europeo, italiano per la precisione. La bisnonna paterna, infatti, era romana (il figlio approdò in Cile quando aveva appena cinque anni) mentre da parte materna la famiglia Ripamonti, suo secondo cognome, aveva evidenti ascendenze lombarde. Dell’Italia Pellegrini ha il passaporto e conosce bene la lingua, bagaglio personale che gli ha permesso, nel lontano 1985, di frequentare il corso di Coverciano a ridosso della fine della sua carriera di calciatore, spesa per intero nelle file dell’Universidad de Chile. Un difensore da 451 partite ufficiali che, oltre agli allenamenti, pensava a studiare, riuscendo addirittura a laurearsi in ingegneria civile dopo aver messo da parte l’interesse per la medicina. Un amante del calcio attratto dalla conoscenza di ciò che sta oltre il campo, sulla falsariga della famosa frase di Josè Mourinho “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Un allenatore che, grazie alla sua esperienza da giocatore e ai suoi studi universitari, ha fatto dell’osservazione attenta e del pragmatismo due strumenti essenziali di elaborazione della realtà e delle modalità con cui venire a capo delle sfide che essa propone. Attitudine codificata, ad esempio, nei rapporti con la stampa, che Pellegrini ha sempre impostato in termini sobri, senza cercare i titoli ad effetto, pago di dare spiegazioni razionali che soddisfino le richieste dei giornalisti: la semplice declinazione di una parte del lavoro da svolgere con professionalità e garbo, come si conviene a un ingegnere che, più che focalizzarsi sulle presentazioni, cerca di impostare al meglio la progettazione dei lavori.


Le esperienze in Sudamerica

 

Messe da parte le aspirazioni che il titolo di studio avrebbe consentito, Pellegrini cominciò il suo percorso da allenatore nella squadra in cui aveva sempre militato, l’Universidad de Chile. I primi dieci anni passano attraverso le esperienze con Palestino, O’Higgins e Universidad Catolica. Nel 1998 si trasferisce all’estero, in Equador, dove, con la Liga de Quito, vince il suo primo campionato da tecnico. Nel 2000 va in Argentina, sedendo due anni sulla panchina del San Lorenzo e altri due su quella del River Plate: con entrambi i club vince il campionato (col San Lorenzo nel 2001 e con i Millonarios nel 2003).


L’approdo in Europa

Nel 2004 giunge il momento di attraversare l’Atlantico: l’Europa è la patria del calcio che conta, dove il talento dei giocatori va incanalato nelle strategie di gioco e allenato con le metodologie più all’avanguardia. La sfida per Pellegrini è intrigante: chi meglio di lui può combinare le caratteristiche sudamericane e l’approccio europeo? Il Villarreal è una sorta di progetto ingegneristico da sviluppare nel Paese che, per primo, consentì all’Europa di stabilire un contatto duraturo con l’America Latina. Gli anni col Submarino Amarillo (2004-2009) regalano alla squadra visibilità sul palcoscenico della Champions League, nel quale nel 2006 l’avanzata verso l’ultimo atto inciampa su un rigore sbagliato da Riquelme a pochi minuti dalla fine nella semifinale di ritorno contro l’Arsenal, croce e delizia del tecnico cileno, che coi valenciani raccoglie un apprezzamento diffuso che, nel 2009, lo porta alla corte della Casa Blanca. Il rapporto col Real, però, non è idilliaco sin dall’inizio: Pellegrini non ha il fascino glamour che piace a Florentino Perez, persuaso da Valdano ad assumere quell’allenatore solo perché la prima scelta del presidente, Arsene Wenger, non era disponibile. A Madrid il tecnico porta a termine una sola stagione, avversato pesantemente dalla stampa che, oltre a non considerare apprezzabile un secondo posto nella Liga alle spalle del Barcellona di Guardiola, non gli perdona le precoci eliminazioni in Champions (ottavi col Lione) e in Copa del Rey contro l’Alcorcón, squadra delle divisioni inferiori.
Pellegrini prosegue il suo percorso spagnolo col Malaga, passaggio che attira le critiche di Josè Mourinho, suo successore al Real, che gli rimprovera il fatto di essere sceso di livello. Anche in quella scelta c’è tutto il pragmatismo dell’allenatore cileno: da buon ingegnere ama costruire e alzare la competitività di una squadra con poca tradizione è un progetto al quale si dedica senza rimpianti, portando il club, nel 2013, a giocare i quarti di Champions League.


Dal Manchester City al Betis Siviglia

La consacrazione di Pellegrini arriva con la chiamata del Manchester City nell’estate di quello stesso anno: in Inghilterra, nel campionato più bello del mondo, arrivano un’affermazione in Premier (2014) e due in Coppa di Lega (2014 e 2016). Dopo una parentesi in Cina all’Hebei, il ritorno in Inghilterra col West Ham culmina con un esonero che rende Pellegrini disponibile a tracciare un nuovo sentiero col Betis Siviglia che, ad oggi, lo ha portato a vincere la Coppa di Spagna 2021-22. Tatticamente, mentre in passato aveva preferito moduli differenti (come il 4-2-2-2 o il 4-3-1-2), il tecnico di Santiago con gli Andalusi si dispone con il 4-2-3-1, dando ulteriore prova della sua flessibilità. Ovviamente, nelle applicazioni contemporanee, i moduli non sono più rigidi, per cui il Betis in fase di non possesso scivola verso il 4-4-2 mentre quando attacca tende a configurarsi con una sorta di 2-2-5-1. Orientato per indole al sincretismo tra calcio sudamericano ed europeo, Pellegrini adatta i moduli soprattutto in relazione agli uomini da allenare e alle squadre che affronta, basandosi su alcuni principi di base che ha mantenuto inalterati nel corso del tempo: la difesa a quattro con i terzini che spingono e due centrali di centrocampo che schermano i compagni alle loro spalle. Sulla tre quarti d’attacco, invece, tende a dare libertà di iniziativa ai giocatori, svincolandoli dall’attuazione di schemi predeterminati. Un ingegnere che, da sempre, progetta un calcio sostenibile, lontano dalle mode, innervato di solidità europea e inventiva sudamericana.    

 

Condividi

  • Link copiato

Commenti