Storie Mondiali: John Langenus, l’arbitro della prima finale

Storie Mondiali: John Langenus, l’arbitro della prima finale

Il direttore di gara belga condusse l'ultimo atto dell'edizione 1930. Il suo "look" stravagante, il timore per la propria incolumità e il resoconto inviato alla stampa europea segnano la distanza tra il calcio degli albori e quello moderno

Paolo Valenti/Edipress

17.11.2022 ( Aggiornata il 17.11.2022 12:13 )

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Il calcio dei nostri giorni si proietta con sempre meno remore verso un futuro che potrebbe snaturarne l’essenza: andare a rispolverare gli albori della sua storia può essere d’aiuto per mitigare quel rischio e recuperare l’aura di fascino ancestrale che lo ha reso lo sport più popolare del mondo. In questa edizione i Mondiali si svolgeranno in un periodo dell’anno nel quale non si erano mai giocati, dentro a stadi con l’aria condizionata e vivisezionati da telecamere con definizione delle immagini infinitesimale: se si volge lo sguardo alla prima edizione della Coppa del Mondo, viene da dubitare che si potesse trattare dello stesso sport che vediamo oggi. Contesti completamente differenti, a partire dalla nazione ospitante: l’Uruguay, uno dei Paesi che udirono i primi vagiti del calcio, non è assimilabile al Qatar per tradizione e clima. Già, perché nell’emisfero australe disputare un Mondiale tra il 13 e il 30 luglio del 1930 significava giocare con la maglietta a maniche lunghe e sbuffare umidità che si congela non appena esce dai polmoni. E quanto alle immagini, bisogna andare a fidarsi di quelle poche consumate dal tempo per avere un’idea remota delle azioni che tessevano i giocatori su campi che spesso mostravano in superficie isolette di terra solo vagamente lambite dai ciuffi d’erba.
Spostando l’attenzione sui protagonisti di quella prima edizione della Coppa del Mondo, ha del sorprendente andare a scoprire che l’ultimo marcatore del torneo, l’uruguaiano Héctor Castro, veniva soprannominato El Monco non per uno di quei giochi di fantasia a cui spesso hanno il piacere di abbandonarsi giornalisti e tifosi ma perché da bambino aveva perso una mano mentre lavorava. Ma chi, forse più di ogni altro, riesce a segnare un confine distintivo e invalicabile tra il calcio di allora e quello moderno è il signor John Langenus, nella vita di tutti i giorni capo di gabinetto del Governatorato di Anversa, in quel mese di inverno australe arbitro designato della prima finale di un campionato del mondo di calcio, da disputare il 30 luglio 1930 a Montevideo tra le due migliori squadre del torneo: Uruguay e Argentina.

La vigilia della prima finale della Coppa del Mondo

È necessario, per capire il clima di quella giornata, fare una breve analisi del contesto. Il prepartita è piuttosto turbolento. I tifosi dell’Albiceleste ci credono: i piroscafi diretti a Montevideo vengono presi d’assalto. Sono decine di migliaia quelli che vogliono essere presenti sugli spalti dello stadio del Centenario, finito in tutta fretta proprio nei giorni iniziali del Campionato e così battezzato per celebrare la ricorrenza dell’adozione della Costituzione del Paese. Il timore di scontri tra tifosi è elevato, motivo per cui le misure di sicurezza che vengono adottate sono imponenti. Le preoccupazioni non si rivelano infondate: le forze dell’ordine si ritrovano a sequestrare di tutto, dai bastoni alle pistole. Un clima di tensione tangibile al quale non è estraneo il suddetto John Langenus che, messo in ansia dalla situazione ambientale, accetta la direzione di gara solo a poche ore dal fischio d’inizio a due condizioni: che gli venga assicurata una polizza sulla vita e che gli sia concessa una scorta di sicurezza che gli consenta di raggiungere il porto e salpare verso l’Europa appena finita la partita. A esprimere meglio la preoccupazione che aveva assalito Langenus è rivelatorio quanto accadde prima di quella finale quando l’arbitro, temendo per la sua vita, consegnò il proprio testamento al console belga.

La divisa di Langenus, l'arbitro della prima finale dei Mondiali

Facile immaginare l’agitazione che lo accompagnava sulla via che lo portava allo stadio e che di certo non si placò quando, presentandosi ai poliziotti all’ingresso della struttura dicendo di dover dirigere la finale, venne arrestato perché sospettato di essere uno dei tanti impostori che avevano millantato false credenziali per poter entrare. Due persone riescono a salvarlo: un testimone che ha assistito al deposito del testamento e il sarto che gli aveva confezionato la divisa che avrebbe indossato per dirigere la partita. Quella divisa che, immortalata nelle foto dell’epoca, più di tutto il resto squarcia il Ventesimo secolo per arrivare ai nostri giorni. Un viaggio lungo quasi cent’anni, una distanza siderale che nello sguardo sospeso di un osservatore stupito sorvola l’Olocausto, la Guerra Fredda, il Sessantotto, gli anni di piombo, la Nazionale di Bearzot e quella di Lippi. Una divisa che carica su di sé tutto il peso della sua età: giacca scura con camicia bianca, cravatta e pantaloni alla zuava con calzettoni neri. Una tenuta che, per quanto oggi appaia improbabile, all’epoca segnava la distanza e il rispetto che i giocatori, anche allora in maglietta e pantaloncini, dovevano al direttore di gara.

La scelta del pallone della finale dei Mondiali 1930

Approssimazione e trambusto portano al rinvio di circa un’ora della partita. I tifosi fremono: da mezzogiorno gli spalti sono gremiti da 90.000 spettatori. Il calcio è già un fenomeno di massa che l’era dei mass media amplificherà a dismisura. Ma prima di dare il fischio d’inizio, a Langenus rimane da dirimere un’ultima controversia: quella del pallone. Argentini e uruguagi ne portano due diversi: i primi uno più leggero, adatto a piedi raffinati; i secondi uno pesante e quasi doloroso al colpo di testa. Salomonicamente l’arbitro belga decide di usarne uno per tempo in modo da non scontentare nessuno e non poter essere tacciato di favoritismi. Così, finalmente, Uruguay-Argentina può cominciare.

Langenus, arbitro e "giornalista" 

Langenus è concentratissimo, segue ogni fase di gioco con la massima attenzione. Non solo perché deve essere in grado di prendere le decisioni migliori ma anche per via del fatto che, finito l’incontro, provvederà a inviare alla stampa europea la sua testimonianza diretta dell’evento visto che, per questioni logistiche e finanziarie, in Uruguay non è presente nemmeno un giornalista europeo a seguire il torneo.
Alla fine fu l’Uruguay a imporsi, come era già successo due anni prima nella finale del torneo olimpico di Amsterdam sempre contro l’Argentina. Ma nel 1928 non c’era l’arbitro Langenus a misurare la distanza tra il calcio moderno e quello degli albori.

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