La fascia al braccio è una cosa seria

La fascia al braccio è una cosa seria

L'editoriale del nostro Direttore Andrea Cordovani pubblicato sull'inserto speciale "Capitano, mio capitano" uscito oggi nelle edicole di tutta Italia

Redazione Edipress

30.07.2022 ( Aggiornata il 30.07.2022 16:29 )

  • Link copiato

Capitani indimenticabili. Giocatori-icona. Uomini-mito. Sempre e comunque. Soggetti ben identificati che portano al braccio la nobile fascia e indossano, con orgoglio e a testa alta, i colori della squadra che rappresentano. Il capitano è una cosa seria. Scriveva l’insuperabile Gianni Mura: “I veri capitani possono morire o scegliere di morire, ma dimenticarli è impossibile”. Ognuno di noi ha un capitano del suo cuore. Il simbolo. Una bandiera. Un’immagine indelebile. Un ricordo e una carezza al passato dentro un presente troppo spesso ballerino come difese che inseguono il pallone alla viva il parroco. Tra l’oratorio e il massimo campionato c’è sempre stato un capitano. Un riferimento.

Raccontava Giorgio Chiellini: «La fascia è solo un simbolo. In ogni squadra, in ogni gruppo, ci sono tanti capitani, ognuno deve dare il suo ingrediente». Capitani in campo. E soprattutto nel segreto degli spogliatoi. Figure a tutto campo. Gigantografie di uomini rimasti nella leggenda. Ne troverete tanti di questi personaggi speciali nel numero de Il Cuoio che state iniziando a sfogliare. Un meraviglioso affresco che colora lo Stivale pallonaro e ci catapulta indietro nel tempo. Un viaggio nel passato attraversando varie epoche col pallone che rotola e scivola veloce dentro l’immaginario collettivo in una magica vallata dove predomina la poesia delle cose perdute. Un calcio molto diverso nel quale nessuno chiedeva ai calciatori di cantare l’inno, ma a vederli allineati, impalati, si era certi che avrebbero dato tutto e che il primo a rimproverare chi sgarrava sarebbe stato lui, il capitano. Un calcio diverso. C’era più correttezza nel calcio senza Var e moviole. Nel senso che potevano esserci entrate terribili, ma non sistematiche, solo in situazioni estreme. Oggi ogni palla alta contesa vale una gomitata all’avversario.

Capitani sì, ma non sempre bandiere. Rammentava Beppe Furino, che con la Juventus ha messo al braccio sinistro la fascia per sette stagioni (1976-1983), un capitano con l’elmetto, come amava definirlo Vladimiro Caminiti: «Non mi è mai piaciuto l’accostamento con le bandiere, che stanno alte in cima a un pennone. Io stavo rasoterra, a lottare». Testa alta, ma piedi per terra. E sulle spalle una responsabilità gigantesca da portare perché la maglia che indossi arriva ad avere valore assoluto e peso specifico sempre più grande. Capitani silenziosi. Ma anche indimenticabili capo popolo, affatto silenziosi, ma sempre straordinari interpreti di un ruolo che continua ad avere un fascino straordinario.

Condividi

  • Link copiato

Commenti