Lazio-Porto: Fernando Couto, il "cattivo" della difesa

Lazio-Porto: Fernando Couto, il "cattivo" della difesa

Difensore vecchia scuola, il portoghese ha vinto ovunque abbia giocato. Dopo aver fatto le fortune dei Dragoes, è diventato una colonna degli aquilotti per sette lunghe stagioni

Marco Ercole/Edipress

24.02.2022 11:44

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Un Difensore vero, con la “D” maiuscola. E al tempo stesso anche un “pazzo scatenato”, un “bad boy” capace di perdere il controllo in qualsiasi momento. Chi puntava su Fernando Couto lo sapeva, c’era da prendere tutto il pacchetto. I benefici, però, hanno sempre superato gli svantaggi, perché averlo in campo significava poter contare su quello che è stato uno degli ultimi esempi di marcatore d’altri tempi, quelli che l’attaccante avversario la sera prima del match faticava a prendere sonno al solo pensiero di doverlo affrontare. L’aspetto a primo impatto da rockstar, con quella folta chioma riccia e il viso angelico, veniva ampiamente compensato dall’atteggiamento una volta indossati gli scarpini. Duro, cattivo, al limite (e a volte anche oltre) della scorrettezza. Il centrale portoghese era uno di quelli che utilizzava qualsiasi mezzo a disposizione per neutralizzare chi si trovava di fronte. Non è un caso che abbia vinto ovunque sia andato. Non lo è nemmeno che a chiamarlo fossero sempre delle squadre con obiettivi ambiziosi.

La prima parte di carriera tra Porto, Parma e Barcellona

La sua carriera l’ha iniziata al Porto, che dopo averlo mandato in campo la prima volta non lo ha più tolto, almeno fino a quando lui non ha deciso che fosse arrivato il momento di assaporare nuove sfide. Quattro intere stagioni vissute indossando la maglia dei Dragoes, anni in cui è riuscito a vincere sia a livello nazionale che internazionale: due campionati, due coppe e tre supercoppe portoghesi, impreziosite da una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale. Ben 131 le presenze complessive, condite da 13 gol accompagnati da quella celebre capriola sul posto, con le mani dietro la schiena. Un modo per festeggiare la rete, ma anche per ricordare a tutti le sue straordinarie doti fisiche e atletiche, quelle che spesso e volentieri gli consentivano di giganteggiare sulle palle alte. È lì a Oporto che si è affermato come uno dei migliori difensori in circolazione, tanto da spingere il Parma di Nevio Scala a portarlo in Serie A, dove lui si è presentato senza troppe preoccupazioni o timori: "Non credo che avrò difficoltà. Gli attaccanti italiani? Sul campo rispetto tutti ma voglio essere rispettato". E non era solo una frase di circostanza. A Parma ha vinto una storica Coppa Uefa e dopo due anni venne acquistato dal Barcellona, dove è rimasto un altro biennio (vincendo un campionato, due Coppe di Spagna e una Supercoppa di Spagna, più un’altra Supercoppa Europea e una Coppa delle Coppe), prima di tornare in Italia e diventare un nuovo calciatore della Lazio.

Il forte legame con la Lazio, tra litigi e trofei 

A Roma, quando ha giocato insieme a Mihajlovic, ha formato una delle coppie centrali più cattive di sempre, come recensito negli anni successivi da molti ex attaccanti di Serie A. La maglia biancoceleste è diventata una seconda pelle, la più indossata nel corso della sua carriera. In 7 anni ha messo insieme 217 presenze e 11 gol, vincendo un campionato, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, due Supercoppe italiane e la terza personale Supercoppa europea. Nella Capitale si è ambientato benissimo, forse anche troppo visto alcune uscite extra-campo che si concedeva e che portarono pure a una forte discussione con i tifosi, con i quali stava addirittura per arrivare alle mani. Non è mai stato uno che le mandava a dire, Fernando Couto. E lo confermano pure le litigate furibonde avvenute nello stesso spogliatoio biancoceleste, tra cui due storiche (e pubbliche) con Roberto Mancini (dopo un fallo durissimo del difensore sul connazionale Sergio Conceiçao in allenamento) e Diego Simeone, con tutta la squadra costretta a intervenire per evitare che il duello tra personalità forti degenerasse. Un carattere un po’ così, che però faceva parte del pacchetto. “Dettagli” che venivano messi in secondo piano dalle prestazioni e da un animo puro, come dimostrato pure negli ultimi anni, quando si decurtò pesantemente lo stipendio pur di restare. Insomma, uno da avere sempre nella propria squadra.

Il rimpianto Europeo con il Portogallo

Se a livello di club ha vinto praticamente tutto (o quasi), il grande rimpianto della carriera di Fernando Couto è senza ombra di dubbio legato alla nazionale portoghese. Con la selezione lusitana, infatti, il difensore nativo di Espinho ha collezionato complessivamente 110 gettoni e segnato 8 reti nel corso della sua carriera, senza però riuscire mai ad alzare una coppa. Non che fosse scontato farlo, sia chiaro. Ma quella sua generazione aveva prodotto calciatori di alto spessore, con tutte le carte in regola per riuscirci, tra talenti del calibro di Rui Costa, Deco, Figo o il giovanissimo Cristiano Ronaldo. Arrivarono anche a giocarsi una finale dell’Europeo da paese ospitante, nel 2004, perdendo contro la sorpresa Grecia in un match stregato al Da Luz di Lisbona. Lui quella competizione la iniziò esordendo con la fascia da capitano al braccio (anche se nelle gare successive trovò spazio solo in altri due spezzoni), vincerla sarebbe stato il coronamento della sua vita calcistica. Invece, per lui e quella generazione d’oro è rimasto solo un enorme amaro in bocca. Che solo Cristiano Ronaldo è riuscito a riscattare più avanti, alzando nel 2016 in Francia quella coppa che aveva solo accarezzato 12 anni prima.

 

 

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