Casiraghi: “In quell’Atalanta-Lazio feci gol, ma non mi venne assegnato"

Casiraghi: “In quell’Atalanta-Lazio feci gol, ma non mi venne assegnato"

L'ex attaccante lombardo ricorda la partita contro la Dea dell'aprile '96 e i suoi trascorsi con la Nazionale e in biancoceleste 

Paolo Colantoni/Edipress

30.10.2021 12:05

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"Quell’Atalanta-Lazio me lo ricordo molto bene. Sbloccai il risultato con una bella girata, ma quel gol in molti tabellini non mi viene assegnato perchè ci fu una deviazione impercettibile di un difensore dell’Atalanta. Diciamo che con le regole di oggi non ci sarebbero dubbi, ma in quegli anni a noi attaccanti venivano tolti molti gol". Pierluigi Casiraghi non dimentica la vittoria dei biancocelesti sul campo dell’Atalanta raggiunta nell’aprile del 1996. Quel giorno la Lazio infranse un tabù che durava da quarant’anni. Grazie al gol del centravanti, a un rigore di Beppe Signori (che siglò la sua rete numero cento In Serie A) e un diagonale di Massimiliano Esposito, i biancocelesti riuscirono a battere i nerazzurri 3-1. "Giocare a Bergamo non è mai stato facile. Ricordo sempre partite tirate, in un ambiente difficile". Anche per chi ha affrontato e superato tante battaglie, arrivando alla finale di un Mondiale e a vincere una Coppa Italia da protagonista con la Lazio. "Fu la consacrazione di un percorso che abbiamo iniziato insieme. Tutto partì con l’avvento di Cragnotti che iniziò un ciclo importante aggiungendo, a una squadra già forte, un tassello alla volta. La Lazio cresceva di anno in anno, fino ad arrivare alla squadra che tornò a vincere". 

Pierluigi Casiraghi come arrivò alla Lazio?

"Fu una trattativa lampo nella casa di campagna di Boniperti. Eravamo ad agosto e io decisi di trasferirmi a Roma. Avevo bisogno di cambiare aria e giocare per non perdere la Nazionale. La Lazio era un club in crescita e non potevo dire di no. È stata una scelta super azzeccata". 

Nel primo anno la squadra chiude la stagione al quarto posto, ma Casiraghi segna solo quattro reti. 

"Eravamo tre attaccanti per due posti: io, Signori e Boksic. Zoff giocava con due punte e mentre Beppe era intoccabile, io e Alen ci siamo alternati spesso. Per me è stato un anno di transizione: sono arrivato a fine agosto, ci ho messo un po’ ad ambientarmi. Diciamo che è andata meglio la stagione successiva". 

Con Zeman in panchina. 

"Per me è stato un allenatore importantissimo. Mi ha insegnato tante cose. Oggi è più semplice trovare un tecnico che insegna calcio, in quegli anni non era usuale. Lui era una rarità: un allenatore che ti insegna i movimenti, che ti fa capire un tipo di calcio diverso, al quale non eri abituato. Poteva avere tanti difetti, ma a livello calcistico era straordinario: proponeva un calcio attuale. Concetti come l’uscita da dietro, il pressing alto, che oggi sono normali, in quegli anni li facevamo solo noi". 

Per gli attaccanti era una pacchia.

"Attaccavamo almeno con otto o nove giocatori. Tolto il portiere e i due centrali, il resto della squadra attaccava e in certe partite, quando stavamo bene fisicamente, le occasioni erano tante. C’erano tante soluzioni offensive e per le difese avversarie non era facile". 

Lazio-Fiorentina 8-2. Cosa si prova a segnare quattro gol in una partita?

"In carriera non mi è più successo. Già in allenamento farne quattro non è facile, figurati in partita. E considera che in quel match potevo farne tanti altri, proprio per il numero di occasioni che abbiamo creato. Comunque fu tutto merito di Cravero, che mi lasciò il rigore finale. Lui era il rigorista, ma mi ha permesso di fare poker. Il martedì all’allenamento mi sono presentato con una bottiglia di Cristal per ringraziarlo". 

Che tridente era il vostro? 

"Era un attacco bello tosto: io al centro, Beppe a sinistra, Rambaudi o Boksic a destra. C’era tutto: qualità, forza, precisione. Beppe era immarcabile. Ha vinto tre volte la classifica cannonieri, un attaccante incredibile. Forse un po’ sottovalutato da tutti, magari anche perché, come accade oggi ad Immobile, in Nazionale non è riuscito ad avere la stessa continuità sotto porta". 

A proposito di Nazionale. Cosa si prova a sfiorare un Mondiale?

"Fu una bellissima esperienza. Il primo ricordo? Il caldo incredibile. Era improponibile giocare in quelle condizioni. Siamo arrivati fino in fondo tra mille peripezie. Perdemmo la prima gara, poi recuperammo, superammo la Nigeria ai supplementari con i gol di Baggio. Siamo arrivati in finale fisicamente cotti. Un Mondiale a quelle temperature è inconcepibile. Sia noi che il Brasile eravamo a pezzi e infatti la finale finì 0-0. Poi purtroppo arrivarono i rigori". 

Ha capito perché, dopo aver giocato una grande semifinale con la Bulgaria, Sacchi l’ha tenuta fuori in finale?

"Giocava con due attaccanti: un centravanti e una seconda punta. Baggio era titolare fisso, per il secondo ruolo ha alternato me e Massaro per tutto il Mondiale. Io giocai la semifinale, contro il Brasile scelse Massaro". 

La Lazio di Zeman era pronta per vincere?

"No. C’erano squadre decisamente più pronte: la Juve di Lippi, il Milan di Capello. Ma noi ce la giocavamo e ci siamo tolti diverse soddisfazioni. Arrivammo una volta secondi, anche se in quegli anni valeva poco. Oggi arrivare tra le prime quattro è quasi come vincere uno scudetto. Allora arrivare secondi era uguale ad arrivare sesti: andavi comunque in Coppa Uefa". 

La vittoria arriva con Eriksson: la Lazio torna a riaprire la bacheca vincendo la Coppa Italia nel 1998. 

"Un’altalena di emozioni. Perdemmo all’andata 1-0 e al ritorno andammo sotto. Poteva essere una mazzata difficile da superare, ma ce l’abbiamo fatta. Noi non avevamo vinto nulla e affrontavamo una squadra molto più abituata alle finali e alle pressioni. Ma avevamo fame. Se non l’avessimo avuta non avremmo mai ribaltato il risultato". 

Tutto merito di Gottardi. 

"Il suo gol, quello di Nesta. Un finale straordinario. Degno della storia della Lazio. Una storia diversa da quella di tutte le altre società, in cui spesso c’è stata tanta sofferenza. Bene, non potevamo certo vincere senza soffrire un po’". 

Casiraghi e i derby? 

"Li vivevamo due settimane prima di giocarli. Credo che oggi non ci sia la stessa tensione che vivevamo allora. Non potevi perderli. Ne ho due nel cuore: il 2-0 con Zeman in cui segnai in rovesciata e quello in cui rimanemmo in dieci subito e vincemmo 3-1. Anche lì feci gol: entrambi sotto la Sud. Peccato. Mi sarebbe piaciuto correre sotto la Nord e festeggiare con i tifosi". 

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