Patrizio Oliva e quel magnifico oro a Mosca 1980

Patrizio Oliva e quel magnifico oro a Mosca 1980

Ai Giochi Olimpici il pugile napoletano ebbe la meglio sul sovietico Konakbayev nei Superleggeri e si prese una rivincita che attendeva da sempre

Paolo Marcacci/Edipress

04.08.2021 ( Aggiornata il 04.08.2021 09:24 )

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Quel pomeriggio del 2 agosto del 1980 Patrizio non stava piroettando soltanto attorno al sovietico, fortissimo, che un anno prima lo aveva sconfitto ai Campionati Europei con un verdetto ingiusto. In fondo, Serik Konakbayev era soltanto un dettaglio in quella data spartiacque della sua vita. Ognuno ha la propria, in fondo; in qualche caso è più facile individuarla. Patrizio Oliva stava varcando un confine, anche se nel mentre non se ne stava rendendo conto, mentre il divario di punti a suo favore diventava più spesso nel taccuino dei giudici. 

Il percorso di Patrizio

La finale olimpica del Superleggeri era come una stazione di posta al termine di un viaggio lunghissimo in una vita ancora breve; tutto ciò che ci sarebbe stato dopo, dall’approdo al professionismo fino al titolo mondiale vinto contro Ubaldo Sacco, con dispiacere di Maradona, si sarebbe potuto comprendere e apprezzare soltanto conoscendo tutto quello che c’era stato prima. E per spiegarlo più delle parole occorrono i chilometri, tanti, forse troppi per chiunque altro: quelli che Patrizio doveva percorrere ogni giorno dalla sua casa di Poggioreale, mura e poco altro, per raggiungere la palestra dove si allenava; quelli che avrebbe percorso pur di allontanarsi dalle urla dentro casa, quando il padre alzava le mani sulla madre; tutti quelli del mondo per raggiungere il posto dove avrebbero potuto curare suo fratello, morto a quindici anni quando lui ne aveva dodici e aveva fatto in tempo soltanto a promettergli che gli avrebbe dedicato una carriera da pugile. 

L’oro di Oliva alle Olimpiadi 1980

Era un campione, il sovietico, dicevamo; anche per questo Patrizio non poteva permettersi di abbassare il ritmo con cui gli girava attorno; però aveva avuto meno fame il sovietico e certamente non aveva corso il rischio di diventare un manovale di camorra bambino. Quando l’altoparlante aveva scandito “Patrizio Oliva!” e dall’angolo si erano precipitati a prenderlo in braccio, era come se a una stazione della vita una voce comunicasse che la parte più dura del viaggio era terminata; nei riflessi della medaglia che poco dopo luccicava al suo collo c’era la sintesi di un bivio esistenziale: per possedere qualcosa d’oro, uno scugnizzo o la ruba o la vince alle Olimpiadi. E mentre ascoltava l’inno dovette pensare che quella frase del suo idolo, Muhammad Ali, ora cominciava a meritarla anche lui: «I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall'interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l'abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell'abilità».

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