Il calcio alle Olimpiadi: dalle origini a Tokyo 2020

Il calcio alle Olimpiadi: dalle origini a Tokyo 2020

La prima edizione nel 1900 tra squadre di club. Cambi di formule e diatribe tra Fifa e Cio: una storia antica e controversa

Paolo Marcacci/Edipress

25.07.2021 ( Aggiornata il 25.07.2021 09:09 )

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Un rapporto antico quanto controverso, quello tra il calcio e i Giochi Olimpici. Una lunga tradizione, mai probabilmente percepita del tutto come tale, per una serie di ragioni. Due, in particolare: la concorrenza con la Coppa del Mondo, inaugurata nel 1930, con cadenza quadriennale ma sfasata rispetto alle Olimpiadi; poi, il fatto che tra le tante discipline il calcio è stata quella per la quale è stato più rapido, diremmo repentino l’approdo al professionismo, la dimensione antitetica per antonomasia al dilettantismo “sacro” dello spirito olimpico.

La prima volta del calcio alle Olimpiadi

 

Embrione di disciplina nel 1896, risulta ufficialmente “accolto” in quella del 1900, per quanto tra squadre di club e non tra selezioni nazionali. Idem nel 1904. È interessante notare come, mentre la FIFA non volle riconoscere quei tornei come ufficiali, il CIO ritenne automatico considerarli tali. 1908 e 1912: le prime edizioni olimpiche del torneo di calcio animate dalla presenza di rappresentative nazionali. In entrambe le occasioni, medaglia d’oro al Regno Unito, argento alla Danimarca e bronzo per i Paesi Bassi. Un particolare dirimente: la formazione britannica era composta da calciatori dilettanti della Football Association, la federazione inglese, con il benestare delle federazioni gallese, scozzese, irlandese.

L’ingresso delle selezioni extraeuropee e la lotta Fifa-Cio 

 

L’edizione del 1920, ad Anversa, ospita per la prima volta una selezione extraeuropea, l’Egitto. Nel 1924 e nel 1928 l’ingresso di Turchia, Usa, Uruguay; quindi di Cile, Messico e Argentina. Queste due edizioni, entrambe vinte dall’Uruguay (uniche due edizioni disputate dalla Celeste nel ventesimo secolo), per la FIFA avevano lo status di “Campionati mondiali dilettantistici”. Gli anni trenta sono, di fatto, la decade della querelle tra FIFA e CIO, perché la massima istituzione calcistica mondiale pretende l’apertura al professionismo e, di fronte al diniego del Comitato Olimpico, come già anticipato fa nascere la Coppa del Mondo, come torneo alternativo a cadenza quadriennale. 

La vittoria dell’Italia a Berlino ’36 e i cambi di formula

 

Assente nel 1932, il calcio torna come torneo olimpico a Berlino ‘36, edizione caratterizzata tra l’altro dall’unico successo italiano con il 2-1 inflitto all’Austria in finale. Dal secondo dopoguerra e quasi fino alla fine del ventesimo secolo, la competizione calcistica alle Olimpiadi sarà quasi monopolizzata dalle nazionali dell’Europa orientale: ufficialmente dilettanti, i calciatori dell’URSS e dei paesi satelliti erano de facto professionisti, inquadrati come dipendenti statali e più esperti della media dei loro avversari, nonostante il divieto, istituito dal CIO nel 1960, di partecipazione per i calciatori già schierati dalle proprie nazionali nella Coppa del Mondo. Con l’Olimpiade di Los Angeles del 1984 cade il divieto per i calciatori professionisti e, dai Giochi di Barcellona del 1992 viene stabilito che le rose delle nazionali debbano essere composte da calciatori under 23, con la possibilità, dal 1996 in poi, di schierare tre “fuori quota” a discrezione dei commissari tecnici. 

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