Boskov, profeta di un calcio che non c’è più

Boskov, profeta di un calcio che non c’è più

L'artefice del ciclo d'oro della Sampdoria nasceva il 16 maggio 1931. Dopo i memorabili successi con i blucerchiati, fece esordire in Serie A Francesco Totti nel 1993

Andrea Braccini/Edipress

16.05.2021 ( Aggiornata il 16.05.2021 17:24 )

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Nei primi anni ’90, Roma e Napoli hanno avuto la fortuna di avere sulla propria panchina un certo Vujadin Boskov, una delle figure più iconiche del calcio italiano e di certo non solo per le esperienze in giallorosso e in azzurro. Boskov, nella Capitale, rimase una sola stagione, nel 1992-93: era la Roma di Aldair, Mihajlovic, Giannini, Hässler e Caniggia, non era ancora la Roma di Francesco Totti, ma il primo capitolo della storia del capitano giallorosso contribuì a scriverla proprio Boskov. Il 28 marzo del 1993, a Brescia, fece alzare dalla panchina il ragazzino della Primavera e, all’87’, tolse Rizzitelli dando il via alla carriera leggendaria del numero 10. Totti, nel giorno della sua scomparsa, il 27 aprile 2014, gli ha dedicato parole commosse: «Un grande uomo, competente e vincente, dotato di umorismo acuto e intelligente. Ricordo ancora il giorno del mio esordio con lui sulla nostra panchina. Grazie mister per avermi dato questa possibilità, unica come sei stato tu”. Dopo un anno sabbatico, nelle due stagioni successive Boskov si sarebbe trasferito a Napoli: nella prima (1994-95) subentrò a Guerini, mentre nel 1995-96 rimase in sella per tutto il  campionato.

Il ciclo d’oro della Sampdoria di Boskov 

Tuttavia, subito prima di Roma, Boskov scrisse la pagina più bella della storia di un’altra squadra italiana: la Sampdoria. A Genova, Vuja – dove era passato anche da calciatore nel lontano 1961-62 – ha vissuto i momenti più belli e intensi della sua lunga carriera da allenatore (tornerà anche nel 1997-98, dopo aver allenato il Napoli, richiamato dal presidente Mantovani per sostituire “El Flaco” Menotti). Boskov è riuscito a lasciare un ricordo memorabile in Liguria, con la Samp del suo ciclo d’oro. Sei anni insieme – dal 1986 al 1992 –, addolciti da due Coppe Italia (1988 e 1989), una Coppa delle Coppe (1990), una Supercoppa Italiana (nell’agosto 1991) e lo storico scudetto conquistato solo qualche mese prima, il 19 maggio, nella cornice di Marassi grazie alla vittoria per 3-0 sul Lecce. Nel 1992 la beffa in finale di Coppa dei Campioni, quando nei supplementari contro il Barcellona la punizione di Koeman mandò in frantumi i sogni della Samp. Era una squadra esaltante quella di Boskov: gol spettacolari, un gioco fluido al centro del campo, ma solido e massiccio nelle retrovie. “Vedere giocare Sampdoria è come sentire bella musica”, disse Vuja durante un’intervista. E aveva ragione, perché di quella squadra oggi è impossibile dimenticare gli eroi: da Boskov, per l’appunto, passando per i gemelli del gol, Vialli e Mancini, i guantoni di Pagliuca a difendere i pali, e poi ancora Attilio Lombardo, Vierchowod, Cerezo, Dossena e tutti gli altri. Ma lo scudetto della Samp nel 1991 non è soltanto lo scudetto di Boskov e dei doriani. Lo scudetto ’91, infatti, appartiene anche a tutto quel calcio italiano formato dalle cosiddette “piccole”. Il motivo è piuttosto semplice: dopo Cagliari (1970) e Verona (1985), il tricolore cucito sulle maglie blucerchiate resta effettivamente l’ultimo prima del ritorno sulle casacche delle “solite grandi”. Una leggenda senza tempo quella del serbo, che ancora oggi in Italia come a Genova, sua seconda casa, viene ricordata con eterna nostalgia. Nostalgia per tutto quello che al nostro calcio è riuscito a donare, e che oggi più che mai sta mancando.

 

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