Sugar Ray Robinson: il centenario della leggenda

Sugar Ray Robinson: il centenario della leggenda

Nato Walker Smith Jr., fu il pugile dominatore assoluto dei pesi welter degli anni ’40 e dei pesi medi negli anni ’50

Jacopo Pascone/Edipress

03.05.2021 16:45

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Il 3 maggio 1921 il piccolissimo distretto di Ailey, in Georgia, diede luce a uno dei più grandi bagliori della storia dello sport: Sugar Ray Robinson. Il leggendario atleta che tutti conosciamo come “Zucchero Ray Robinson” nasce Walker Smith Jr. da Walker Smith Sr. e Leila Hurst.

 

Da Walker Smith Jr. a Sugar Ray Robinson

 

Da piccolino si trasferisce a Detroit. La famiglia Smith vive nel quartiere Black Bottom, il peggiore della città: “Black” perché sono tutti neri, “Bottom” perché “parte inferiore”, più giù di lì non si può andare. Il papà si alza tutte le mattine alle 6 e prima di mezzanotte non è di ritorno: svolge un massacrante doppio lavoro per tirare avanti. È qui che nel frattempo Walker Jr. si avvicina al mondo della boxe. Nel suo stesso quartiere popolare vive il 17enne Joe Louis, uno straordinario peso massimo in rampa di lancio. Walker Smith Jr. lo segue durante allenamenti e incontri: è qui che per la prima volta s’infila i guantoni. L’infanzia difficile a Detroit viene spezzata da un altro cambio di residenza. I genitori si separano e il piccolo Walker segue la mamma: dai Black Bottom si ritrova ad Harlem, nel boom del movimento afroamericano iniziato nel quartiere di Manhattan già dai primi anni del XX secolo. Nella Grande Mela continua ad allenarsi, mentre si dà da fare lustrando scarpe e inscenando balletti, riusciti grazie alla grande coordinazione, dote che si ritroverà sul ring durante tutta la carriera. Carriera, che nel frattempo parte. Ma Walker Smith, che eccelle per distacco rispetto ai suoi compagni d’allenamento, mostrandosi ancora grezzo e da affinare, ma in possesso di un dolce talento, ha solo 14 anni e non può combattere. L’allenatore dell’epoca decide di farlo scendere comunque sul ring, usando il cartellino del suo compagno Ray Robinson. Lo stratagemma funziona e Walker Smith Jr. comincia a mandare a tappeto i primi avversari con il nome di un ragazzo di Harlem. Quel nome si fa sentire per le palestre della città e non solo. Si impossessa di Walker Smith Jr. e fa germogliare un talento. 85 vittorie consecutive tra i dilettanti, di cui 69 per KO: è questo lo straordinario score del ragazzo. “Your boxing is sugar”, affermerà il suo futuro manager George Gainford. Qui, invece, fiorirà la leggenda!

 

Le prime vittorie, la guerra e quel maledetto sogno

 

Il battesimo da professionista al Madison Square Garden di New York, il 4 ottobre 1940. Joe Echevarria va giù al secondo round: è il primo ko dei 109 che metterà in fila in carriera. Il talento di casa Smith si destreggia danzando tra un ring e l’altro e mietendo “vittime” come fossero birilli. Affronta e sconfigge più volte il croato-americano Fritzie Zivic, prima di scontrarsi con il suo più grande rivale: il Toro del Bronx, Jake LaMotta. Il pugile newyorkese, più basso e tozzo rispetto al ballerino Ray, cade sotto la danza del nuovo astro nascente che, tra ritmo e coordinazione, riesce ad esplodere con colpi potentissimi. È però l’italoamericano a trionfare nel rematch disputato a Detroit, infliggendo a Ray Robinson la prima sconfitta da professionista (40-1). La chiamata alle armi allontana Sugar Ray, come tanti altri colleghi, dal pugilato professionistico. Il suo battaglione, guidato proprio dal vecchio amico Joe Louis, non deve combattere, o meglio, deve farlo, ma non in guerra. Il reparto speciale formato dai migliori pugili in circolazione è stato appositamente creato per “distrarre” i militari, infervorati nel vedere i match organizzati sui “ring di guerra”. Il battaglione guidato da Joe gira per il continente ed è pronto a sbarcare in Europa, quando Ray ha un'amnesia. O forse una trovata? Dilemma ancora oggi irrisolto. Fatto sta che l’afroamericano sparisce per ricomparire dopo 5 giorni in un letto di un ospedale militare, affermando di non ricordare nulla. Il pugile durante il suo periodo di leva ha sempre protestato contro le leggi razziali che non permettevano ai neri di assistere agli “incontri militari”. La sua sparizione coincide proprio con la partenza della nave: Robinson a combattere in Europa non ci va, continua a vincere sui ring statunitensi. Nel 1946 conquista la prima cintura Mondiale nei pesi welter. Si ripete l’anno successivo, ma la vittoria del 24 giugno 1947 contro il povero Jimmy Doyle, si trasforma in un incubo. Ray, infatti, la sera prima dell’incontro, sogna di uccidere il prossimo avversario. L’americano ha un carattere particolare, è scaramantico e pieno di fisse: un sogno del genere la notte prima dell’incontro lo destabilizza al punto di non voler combattere. Poche ore dopo salirà comunque sul ring: allo scoccare dell’ottavo round il sogno premonitore si trasformerà nella più reale delle tragedie. Totalmente fiaccato dal triste epilogo della sua seconda cintura, il pugile cadrà in depressione, risollevandosi solo in parte dopo aver esaudito il desiderio del defunto avversario, che voleva comprare una casa alla mamma.

Il massacro di San Valentino, l’Europa e il primo ritiro

 

Altri tre Mondiali nella categoria welter: il dolce e letale Sugar sale di peso nel 1950. È qui che il suo destino s’incrocia per l’ultima volta con il Toro del Bronx. LaMotta vuole difendere il titolo, ma la notte di San Valentino del 1951, i fendenti del dolce Sugar non sono rose e cioccolatini. Nella cornice infuocata del Chicago Stadium si assiste a un massacro. L’incontro – combattutissimo come al solito, siamo al sesto capitolo di una saga che ha visto trionfare 4 volte Robinson e una LaMotta – prende una piega differente nei round finali. Robinson comincia a colpire come un martello pneumatico. LaMotta è alle corde, non risponde più, ma si rifiuta di andare al tappetto. È una scena epica e tragica allo stesso tempo. LaMotta dirà: “Se l’arbitro avesse lasciato correre per altri 30 secondi, Sugar sarebbe collassato per la quantità di colpi che mi stava assestando”. Alla 13esima ripresa l’arbitro è costretto a fermare l’incontro e dichiarare vincitore Sugar Ray Robinson per il ko tecnico di Jake LaMotta. Martin Scorsese renderà protagonista l’epica rivalità Robinson-LaMotta nella sua celebre pellicola “Toro scatenato” del 1980. Una rivalità che si può riassumere con una divertente dichiarazione del boxeur italoamericano: ”Ho incontrato Sugar Ray talmente tante volte, che è un miracolo che  non sia diventato diabetico”. Sugar si appresta a sbarcare in Europa. Lo fa da pugile e non da militare, lo fa da star girando per Parigi con la sua Cadillac rosa, supportato da uno staff di 13 persone, portate con sé per far scena più che per necessità. Perde la cintura dei medi contro Randy Turpin, riconquistata nel rematch di Manhattan di tre mesi dopo, davanti a 60mila americani. Una costante nella carriera di Sugar Ray, che non ha mai concesso allo stesso avversario due vittorie consecutive. Nel 1952 si contende il titolo dei mediomassimi con Joey Maxim. Ray conduce il match, ma presto dovrà fare i conti con la temperatura di 39°, che prima mette fuori gioco l’arbitro, poi alcuni spettatori e infine riduce sulle gambe il campione. Robinson perde il suo primo e unico match per KOT. Il 25 giugno 1952 si ritira dalla boxe per intraprendere la carriera di showman.

Il ritorno sul ring

 

I suoi investimenti non portano i frutti sperati, quasi sul lastrico decide di tornare a mettere i guantoni nel 1955. La sua forma fisica è ancora ottimale, per fare il ballerino si è allenato tantissimo: può tornare a danzare sul ring. Nel giro di due anni torna a trionfare in altrettante occasioni: prima strappa il titolo dei medi a Bobo Olson con un KO, poi lo rimette al tappeto durante la rivincita concessa. Nel 1957 il “Cyclone” di Utah Gene Fullmer – dieci anni in meno rispetto a Robinson – strappa il titolo al pluricampione. Sugar sembra ormai definitivamente tramontato. Un abbaglio di luce, di talento puro e orgoglio, lo spinge ancora alla vittoria nella rivincita, quando mette KO (per la prima volta in 44 incontri) Fullmer con un gancio sinistro storicamente definito come “il pugno perfetto”. L’ultimo epico capitolo della carriera di quello che da molti è riconosciuto come il più grande pugile di sempre, contro un altro italoamericano: Carmen Basilio. Nel primo atto del doppio confronto Ray perde al termine di 15 intense riprese. Riesce anche questa volta a riprendersi la cintura, quando ormai 38enne, al termine di un altro incontro da brividi, viene riconosciuto campione da due dei tre arbitri presenti, con 20mila persone a fischiare il dissidente. 

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