Un Secolo d’Azzurro: "Un progetto visionario che va oltre il rettangolo verde"

Un Secolo d’Azzurro: "Un progetto visionario che va oltre il rettangolo verde"

Abbiamo intervistato il dottor Mauro Grimaldi, curatore della più grande mostra del nostro Paese sulla nazionale italiana di calcio. Tra i cimeli, il pallone "inglese" del 1890

Redazione Edipress

30.03.2021 ( Aggiornata il 30.03.2021 12:56 )

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“Un Secolo d’Azzurro”, e non solo, perché i cimeli che possiamo trovare all’interno di questa mostra, abbracciano oltre un secolo di storia. È la più grande rassegna storica ed antologica sulla Nazionale italiana di calcio. La sua forza sta proprio nell’essere di tutti: come la Nazionale, infatti, è una mostra itinerante, e può quindi essere facilmente accessibile in tutte le zone del Paese. Il progetto è curato dal dottor Mauro Grimaldi (ad Federcalcio Servizi), promosso dall'Associazione Sant’Anna, e patrocinato da Anci, Figc, Aia, Lega Pro, Lega Nazionale Dilettanti, Museo del Calcio di Coverciano, Comitato Paralimpico e Confassociazioni. Abbiamo fatto una chiacchierata con il dottor Grimaldi che ci ha permesso di entrare all’interno di questo mondo affascinante e nostalgico.

Che cos'è Un Secolo d'Azzurro?

"È un progetto, per certi versi, visionario. L’idea è quella di trasferire, attraverso una mostra itinerante che abbraccia oltre un secolo di calcio, la cultura e i valori di questo sport soprattutto alle generazioni più giovani. È un viaggio parallelo con la storia d’Italia e non è un caso che il football moderno si affacci nel nostro Paese proprio quando la nuova nazione muove i suoi primi passi. La storia del calcio si sovrappone, quindi, a quella dell’Italia e cresce parallelamente alla sua evoluzione, passando dalla Monarchia al fascismo, alla Repubblica, crescendo con il boom economico fino a diventare il fenomeno mediatico e sociale di oggi. I suoi simbolismi scandiscono le varie epoche. Lo stemma sabaudo sulla maglia azzurra, il fascio littorio durante il fascismo, lo scudetto tricolore che segna il passaggio dalla monarchia alla Repubblica. In tutto questo il pallone diventa uno strumento didattico e la sua narrazione consente di raccontare una storia ancora più grande".

Come e quando è nata l'idea di una mostra itinerante?

"L’idea è nata un paio di anni fa assieme al presidente del’Associazione Sant’Anna, Aldo Merighi Rossi, che cura il Football Museum a Roma. Ci siamo detti che sarebbe stato bello ampliare la platea di visitatori portando le nostre collezioni in giro per l’Italia, entrare a contatto con la gente, sensibilizzare i loro ricordi. Questo format ha avuto
successo attirando nelle dieci tappe che abbiamo fatto fino ad oggi migliaia di appassionati".

Quali obiettivi si pone?

"Vorremmo trasferire il concetto che il calcio non esaurisce la sua azione solo all’interno di un rettangolo di gioco ma è un contenitore di valori, di storia, di cultura. La mostra diventa quindi un contenitore, a cui leghiamo una serie di eventi di confronto e di dialogo con la gente e con le scuole. I ragazzi si rapportano con giornalisti, calciatori, mental coach, sociologi, scrittori, interagendo con loro. Ad esempio, in collaborazione con l’Associazione Arbitri, abbiamo organizzato con i ragazzi delle medie degli incontri sul rispetto delle regole dentro e fuori dal campo. Parliamo anche di disabilità, sostenendo i ragazzi del Powerchair, che giocano a calcio con la carrozzina elettrica. Sono affetti da gravi malattie degenerative ma in grado di trasmettere a tutti una grande voglia di vivere. E noi siamo con loro".

Uno degli ultimi cimeli è il pallone "inglese" del 1890. Può darci qualche informazione su questo rarissimo oggetto?

"Qui parliamo di antiquariato sportivo. L’importanza di questi cimeli è data dal fatto che i ragazzi possono confrontarsi con l’evoluzione che ha subito il calcio in oltre un secolo. Quando mettiamo davanti a loro un pallone che ha oltre 130 anni fanno fatica a credere che ci si poteva giocare, così come fanno fatica a credere che prima dell’invenzione della camera d’aria dentro all’involucro di cuoio, c’era una vescica di maiale. Questo ti dà l’opportunità di entrare dentro alla società di oltre un secolo fa, di avviare una narrazione interessante dove il rapporto dei ragazzi con i cimeli diventa anche tattile, potendoli toccare. Come questi vecchi palloni quasi deformati, le magliette di lana degli anni Trenta e
Quaranta o gli scarpini che somigliano più a scarponi da sci che a scarpe da calcio. Un viaggio nella memoria e nella curiosità dei ragazzi".

Quali sono i cimeli ai quali tenete di più?

"Teniamo un po' a tutti, nel senso che il bello di questa mostra non è legata al singolo cimelio ma alla continuità storica con cui li abbiamo legati. Ad ogni epoca corrispondono foto, giornali, palloni, magliette, tessere, libri, biglietti, scarpini. Adesso abbiamo aperto anche una sezione di giochi per bambini legati al calcio dove si capisce come questo sia da sempre legato all’immaginario collettivo dell’infanzia. Poi abbiamo iniziato delle collaborazioni con altri importanti musei storici come quello del Genoa o con famiglie di grandi atleti coma Amadei, Spinosi, De Sisti. È una proposta interessante non solo per gli appassionati di calcio ma per chiunque voglia sapere come eravamo e, purtroppo, come siamo diventati".

Avete già in mente qualche tappa per il dopo Coronavirus?

"In realtà ne avevamo programmate già alcune che sono saltate per la pandemia. In calendario restano Cava de' Tirreni, Latina, Rimini, Genova e altre realtà. È chiaro che alla base del nostro progetto c’è l’inclusione tra la gente e se questo presupposto viene a mancare diventa difficile proporre un prodotto interessante, ma siamo – come si dice in politica – moderatamente ottimisti".

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