Massimo Palanca, talento dai baffi folti e il "piedino" d'oro

Massimo Palanca, talento dai baffi folti e il "piedino" d'oro

In carriera realizzò ben 13 reti da calcio d'angolo. Esplose a Frosinone negli anni Settanta, poi passò al Catanzaro dove ancora oggi è una leggenda

Redazione Edipress

30.03.2021 12:47

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Esiste un solo Leopardi. C’è chi dice che è gobbo, c’è chi dice che ha il Parnaso fra le scapole. Di sicuro è difficile, impossibile, che nasca nei pressi di Recanati un altro poeta come Giacomo il romantico. Eppure, a 155 anni di distanza e a pochi chilometri dall’ermo colle tanto caro al figlio del Conte Monaldo, nasce un piccolo uomo, destinato a scrivere poesie col piede sinistro. Il suo nome è Massimo Palanca.

Leopardi cresce tra gli oltre 20.000 volumi che riempiono l’immensa biblioteca di famiglia, Massimo tra la polvere e la terra del campo del Porto Recanati, di cui il padre è custode. Il calcio è la sua linfa, non fa altro che affinare quel piede sinistro. Tutti i giorni, tutto il giorno. Gli anni passano e il bimbo non cresce in altezza, neanche tocca i 170 centimetri. Ha i piedi piccoli, porta il 37. In compenso, però, si fa crescere dei foltissimi baffi, che insieme al mancino, saranno il suo marchio di fabbrica. Nemmeno maggiorenne si sposta dal litorale adriatico fino all’entroterra, gioca nel Camerino. Viene letteralmente adottato dalla famiglia del presidente Santacchi: vive in casa loro ed è trattato come un figlio. 

La chance

Dopo due anni in Promozione, arriva l’occasione della vita: andare a giocare in Serie C col Frosinone. I ciociari gli hanno messo gli occhi addosso perché è un attaccante che può giocare ovunque: come ala, centravanti o mezza punta. Ha un sinistro vellutato e devastante, una coordinazione spaventosa e una visione della porta rara. È completo ed è pronto per il salto di categoria. Gabriele Guizzo è l’allenatore del Camerino all’inizio della stagione 1972-73, ma essendo ancora sotto contratto col Frosinone torna sulla panchina giallazzurra prima della fine del campionato.

Nella primavera successiva chiama Massimo per un provino, insiste affinché la società lo prenda e l’anno successivo Palanca arriva in Ciociaria. Nella squadra c’è il leggendario Alberto Recchia a difendere i pali: la prima partita con la nuova maglia la gioca il 12 agosto 1973, in amichevole contro il Perugia. L’esordio ufficiale avviene il 23 settembre contro la Nocerina, con una settimana di ritardo rispetto a quanto previsto dato il rinvio della prima giornata di campionato contro la Salernitana. Il primo gol lo segna al quinto turno, il 14 ottobre successivo, nella sfida contro il Marsala. 

Re della Serie C

Non si ferma più. Scattante, potente, imprendibile, diventa uno degli attaccanti più forti della Serie C. In 38 partite di campionato il Frosinone segna 30 gol: secondo le statistiche Palanca ne mette a referto 17, secondo lui sono 18. Poco importa, i giallazzurri mantengono la categoria e quel ragazzo dal baffo folto e dal piede d’oro esplode definitivamente.

Tante squadre lo hanno messo nel mirino: la Reggina è tra queste e il presidente Granillo ha grandi progetti per lui. Con l’attaccante ha trovato un accordo e c’è la clausola: nel caso i granata dovessero rimanere in Serie B, Massimo prenderebbe la strada verso sud. Se dovessero scendere in C, rimarrebbe a Frosinone. La Reggina scende di categoria, tra le lacrime di Granillo. Niente Calabria per Massimo. 

A Catanzaro

E invece arriva il Catanzaro che offre sul piatto 120 milioni di lire e un milione al mese al giocatore, ma soprattutto un campionato di Serie B. Saluta la Ciociaria dopo appena una stagione, ma lascia un’impronta indelebile. Con la maglia giallorossa, invece, raggiunge l’apice: trascina il Catanzaro fino alla Serie A e quando affronta gli squadroni non ha paura di mostrare il suo talento.

All’Olimpico disintegra la Roma con una tripletta e per qualche giorno i calabresi si godono la testa del campionato. In quella partita Palanca segna addirittura un gol da calcio d’angolo. Non un tiro fortuito, bensì voluto. Non è il primo che segna, neanche l’ultimo. A fine carriera saranno 13 i tiri dalla bandierina trasformati in ‘gol olimpico’, un altro marchio di fabbrica: come i baffi e quel sinistro magico. Per fare arrabbiare Massimo Palanca basta dire che segnava solo da corner. Certo, 13 gol direttamente da calcio d’angolo non sono pochi, anzi. Sono un numero incredibilmente alto se si pensa che li ha segnati tra le tre categorie più importanti del calcio italiano. Bisognerà aspettare l’arrivo di Alvaro “El Chino” Recoba per assistere a un altro mancino che calciasse in quello stesso modo i corner.

Palanca, però, non era solo questo. Era uno spettacolo unico: saltava in testa a difensori 30 centimetri più alti di lui e infilava il pallone sotto al sette. Trovava la porta con rovesciate da fuori area, serviva i compagni con tacchi al volo. Aveva una capacità nel coordinarsi fuori dal comune. I tifosi compravano il biglietto solo per vedere le sue magie, perché a ogni partita regalava qualcosa di diverso. E comunque c’era sempre la speranza di assistere a un gol olimpico: ogni volta che si avvicinava alla bandierina la folla tratteneva il fiato come se fosse un calcio di rigore. Così spettacolare nelle sue giocate che i tifosi giallorossi gli hanno dato lo stesso soprannome di Pelé: O Rei. Ancora oggi, se si va a Catanzaro e si domanda se è mai esistito un imperatore della città, la risposta è una sola: Massimo Palanca.

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