Cosa rimane di Gianni Brera

Cosa rimane di Gianni Brera

A cento anni dalla nascita del più grande giornalista sportivo italiano di sempre bisogna orientarsi in mezzo a una produzione editoriale sterminata, con tante uscite anche post mortem. Con una sensazione netta: il Brera migliore è stato quello del Guerin Sportivo, il Brera dell'Arcimatto. Emozionante anche dopo mezzo secolo...

Stefano Olivari

07.09.2019 17:38

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Cento anni fa, l’8 settembre 1919, nasceva Gianni Brera. Che è morto nel 1992 ma non ha bisogno di presentazioni nemmeno per i più giovani, da tante che sono le rievocazioni, le interviste, le testimonianze e i libri che lo ricordano. Senza contare i suoi, di libri. Il più grande giornalista sportivo italiano di tutti i tempi ha scritto tantissimo, persino troppo: a sostenere questa tesi era proprio lui, convinto che i ritmi del giornalismo e dello sport lo avessero costretto ad essere un campione in serie B invece che uno capace di giocarsela in una presunta serie A. Cioè la letteratura, all’inseguimento del mito del grande romanzo.

Non occorre però essere suoi fan per osservare che i suoi articoli di attualità sportiva erano già grande letteratura, letteratura non dichiarata e forse involontaria, ma proprio per questo ancora più grande. E saremo di parte, ma il miglior Brera è secondo noi il Brera del Guerin Sportivo, di cui era stato collaboratore prima di diventarne direttore dal 1967 al 1973. Il Brera dell’Arcimatto, per intenderci, rubrica calcistica imperdibile, piena di riferimenti di ogni tipo e a volte quasi per iniziati. Una rubrica che oggi sarebbe modernissima, staccandosi nettamente dal copia e incolla oltre che dalle frasette tweet.

Ma quali sono i libri fondamentali per conoscere Brera? La sua sterminata produzione, a cui vanno associate le tante raccolte uscite post mortem, si può dividere in quattro grandi filoni: libri sportivi extracalcio, libri calcistici, romanzi e saggi storici. Trascurabile il quarto filone, con il meglio già inserito nei pezzi sportivi, sottovalutati ma non eccelsi i romanzi (quello che regge meglio il tempo è ‘Il corpo della ragassa’, aiutato anche dall'omonimo film interpretato da Lilli Carati), orientarsi nell'immensa produzione sportiva e calcistica di Brera è difficilissimo. Anche perché, come lui stesso ammetteva, tante opere altro non erano che ‘marchette’ pagatissime, su questa squadra o su quel personaggio.

Fra i capolavori del genere sportivo però possiamo considerare senz'altro ‘Atletica leggera, scienza e poesia dell’orgoglio fisico’ e ‘Coppi e il Diavolo’. L’atletica era stato il primo amore di Brera e di sicuro lo sport a cui si era accostato con metodo scientifico, grazie anche all’amicizia con tecnici di enorme valore (su tutti Sandro Calvesi, il guru degli ostacolisti non solo italiani, da Ottoz a Drut), ma soprattutto era quello che lui considerava lo sport per eccellenza, ben al di là della retorica olimpica sulla regina degli sport. Brera, che per qualche anno fu anche consigliere della FIDAL, riteneva l’atletica un indicatore infallibile delle qualità, dei difetti, della salute e della ricchezza di un popolo. Senza aleatorietà, senza incidenza di arbitri o poteri esterni, soprattutto senza scuse. Se il calcio per Brera era ‘mistero agonistico’, spiegabile con il ridicolo senno di poi, l’atletica era la sintesi della storia e del presente di una nazione. Chissà cosa avrebbe detto degli ultimi decenni azzurri...

‘Coppi e il Diavolo’ è invece il miglior libro dei tantissimi scritti, praticamente da chiunque, su Fausto Coppi, oltre che uno dei diversi scritti dallo stesso Brera sul ciclismo (consigliabile anche 'Addio bicicletta'). Grazie all’aiuto dell’amico Mario Fossati, Brera da simpatizzante di Coppi (o meglio, da antipatizzante di Bartali e dell'Italia che amava Bartali) riuscì da una serie di colloqui privatissimi a tirare fuori l’anima del Campionissimo e anche a spiegare perché la sua morte prematura, del tutto casuale, fosse in fondo arrivata al momento giusto.

Per quanto riguarda invece i libri calcistici, il più famoso è indubbiamente ‘Storia critica del calcio italiano’. La cui prima edizione è del 1975 e quindi risente del clima cupo dell’epoca, poco dopo il fallimento (entrare nella fase finale a 16 squadre era consiederato fallimento…) al Mondiale tedesco e in piena ubriacatura da calcio totale olandese. In questo libro c’è la summa del pensiero calcistico breriano e non a caso è stato studiato a fondo anche da chi poi ha proposto tesi opposte. Un misto di storia del calcio, storia d’Italia, sociologia, costume e tanto altro, con un equilibrio irripetibile e l’idea che ogni squadra dovesse esprimere il carattere del popolo di cui era espressione. Discorso valido in particolare per la nazionali, per questo Brera riteneva l’Italia adatta ad aspettare e ripartire, catenaccio e contropiede, più che a inseguire miti estrofili. Gli italiani secondo Brera erano inferiori fisicamente nel calcio, ma anche in altri sport, a nazioni con una composizione razziale diversa, e potevano uscirne vivi soltanto usando l’astuzia. Come l’Uruguay nella partita decisiva del Mondiale 1950, contro il Brasile: in svantaggio 1-0 non si era buttata in avanti per rimontare, snaturando la propria identità, ma aveva in un certo senso difeso la sconfitta tenendo lo 0-1 e vincendo poi al momento giusto. Legata al discorso della difesa era anche la polemica sugli abatini, ben presente nel libro, con l’abatino pià famoso che era Gianni Rivera: secondo Brera gli abatini (traduzione 2019: giocatori tecnici ma poco atletici, la cui presenza costringe i compagni a correre il doppio) erano adatti a squadre offensive, con il pallino del gioco in mano, non certo all’Italia o ai club italiani, ai suoi tempi quasi tutti composti da italiani.

Tanti altri sono stati i libri calcistici di Brera, ma quello che non deve mancare nella libreria di qualunque appassionato di sport è senza dubbio 'L’Arcimatto', uscito in varie versioni (la più famosa è quella del periodo 1960-1966) e con diversi periodi presi in considerazione. In pratica la raccolta delle più ispirate rubriche sul Guerin Sportivo, prima citate, soprattutto negli anni Sessanta. Anche se la più ispirata di tutti era probabilmente quella di risposte ai lettori. In ogni pezzo c’era un concentrato di Brera e anche se non tutti i riferimenti all’attualità possono essere colti oggi (era comunque un’attualità di mezzo secolo fa) lo stile è di quelli inarrivabili: molti usano un linguaggio, pochissimi lo creano. Il linguaggio di un gigante, anche al netto della santificazione. Non perché capisse di calcio più di altri, ma perché spiegava come nessuno il suo senso nelle nostre vite.

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