Fuoco e ghiaccio, Superbrat e Iceman. Due opposti perfetti. Il ribelle con una causa e lo svedese più freddo che abbia mai tenuto in mano una racchetta. Da una parte, il magma infuocato dai capricciosi capelli rossi e ricci, dall’altra l’angelo assassino che ha inventato un modo di giocare mai pensato prima, che ha insegnato a vincere Wimbledon quasi senza lasciare la riga di fondo. È una rivalità fra due mondi che si attraggono, una contrapposizione che racchiude le ragioni del cuore e dell’epica, lo scontro fra due visioni che dalla collisione ricavano il meglio. “Non dirò che avevo un poster di Borg in camera - dirà McEnroe nel 2010 al Telegraph - ma di sicuro mi ha dato la spinta per entrare sempre di più nel mondo del tennis. Nel 1973 ero un ballboy allo Us Open. Lui giocava. Aveva 17 anni ma già allora si capiva che aveva un'aura speciale. Riusciva a generare una mania decisamente straordinaria”.
L’epifania dello scontro tra il futuro e il moderno arriva il 5 luglio del 1980 sul Centrale di Wimbledon. Il mondo aspetta la finale tra McEnroe e Borg. Nelson Mandela accende la radio nella sua cella a Robben Island, Andy Warhol si alza presto per non perdersi la partita. A Västervik, in Svezia, sospendono l'incontro tra Svezia e Germania Ovest per il campionato europeo juniores di tennis. Il quattordicenne Stefan Edberg e il dodicenne Boris Becker guardano insieme la finale in tv. Borg e McEnroe salgono i sette scalini e attraversano le porte di legno verso il Centrale. Non possono evitare di leggere i versi di Kipling incisi sopra. "Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina / e trattare allo stesso modo questi due impostori…" scrive in If: solo così, prosegue, potrai dirti un uomo.
Ai Championships, Borg ha affrontato più il Trionfo che il Disastro. Non perde sui prati di Church Road da 34 partite, dai quarti del 1975 contro Arthur Ashe. McEnroe, invece, tre anni prima è diventato il primo qualificato nella storia del torneo a raggiungere le semifinali. Ma ha deluso nei due anni successivi e in quella prima edizione degli anni Ottanta ha rischiato di uscire al secondo turno contro Terry Rocavert, un oscuro australiano con un buon rovescio che rischia di non arrivare in tempo: deve arrivare in taxi da Paddington ma l'autista non conosce la strada. McEnroe si trova sotto due set a uno e perde il primo minibreak nel tiebreak del quarto. Ma l'australiano comincia a pensare alle conseguenze della possibile vittoria, e perde. Il mondo ne ricaverà quella che per molti è la più bella finale di sempre a Wimbledon.
Per un’ora, la partita di fatto non esiste. McEnroe domina 6-1 il primo set e sul 4-4 nel secondo lo svedese deve salvare tre palle break. L’americano vince 14 dei primi 41 punti nei suoi turni di battuta con ace o servizi vincenti. Con uno così, non giochi. Aspetti che passi la tempesta. A McEnroe intanto, inizia a venire un pensiero strisciante. "C’è qualcosa che non va se sto vincendo così facilmente con uno come Björn". Borg capisce, intuisce e risponde. McEnroe sbaglia tre stop volley. Borg ci aggiunge una risposta vincente di rovescio sul 15-40, si prende il break e il set: 7-5.
McEnroe perde il servizio anche in avvio di terzo set. Avrà cinque occasioni per completare il controbreak nel settimo game, ma dopo 20 punti Borg tiene e allunga 5-2. Il 6-3 è il finale più scontato. Gradualmente, la bilancia emotiva della partita si sposta verso lo svedese dal cuore impassibile. Passante vincente e risposta di rovescio che ridefinisce i confini dell’impossibile: break Borg, che va a servire per il match, per il quinto titolo consecutivo. Pensare che il meglio debba ancora venire è un esercizio di ottimismo della volontà oltre i confini della realtà. Superbrat però, salva due match point, con un passante di rovescio e uno schiaffo al volo da metà campo, e riscrive il finale.
Due game più in là inizia la partita nella partita, i 22 minuti più celebri nella storia del tennis. I 34 punti del tiebreak condensano il senso di una opposizione radicale. McEnroe, mancino disperante sempre pronto a esplodere,è il ribelle con una causa: il ritratto, che gioca con il titolo originale di "Gioventù Bruciata", è nello slogan di una fortunata campagna pubblicitaria della Nike. Borg, un destro tanto flemmatico in campo quanto turbolento fuori, ha inventato lo stile del contrattaccante dal fondo. La sua vita l'ha bruciata dopo, quando si è voltato a cercare i suoi vent'anni e non li ha trovati più.
Dopo il primo minibreak (5-4), Borg torna a match point (6-5) e sulla seconda estrae una potente risposta di dritto. Ma questa storia non è ancora cominciata e la volée in allungo di Superbrat la spinge un po’ più verso l’epica. McEnroe infila due passanti vincenti: il primo cancella il quarto match point, il secondo gli regala la prima palla set, che mancherà per la rabbiosa risposta sulla riga dello svedese. Borg avrà altre tre occasioni per chiudere, la più golosa sull’11-10 e servizio, ma il nastro rende letale l’attacco in back di McEnroe, che salva anche il quinto match point, due punti più in là, con un serve and volley sulla seconda. Da quel momento, Borg resta sempre indietro nel punteggio fino al 18-16. Il suo coach Lennart Bergelin comincia a pensare che stavolta la Borg-mania a Wimbledon potrebbe davvero finire. “Mi sentivo malissimo - spiegherà lo svedese in conferenza stampa - ero deluso. Mi sono detto: dimentica quello che è successo, guarda avanti. Ma era difficile, molto difficile”.
Borg perde i primi due punti del quinto al servizio. Poi si impone di rilassarsi. In battuta non perde più un punto fino al decimo gioco. “Mentalmente è stato il set migliore che abbia mai giocato” ha detto lo svedese. La pressione è tutta su Superbrat, e il ribelle finisce per cedere. È incerta la demi-volée sulla risposta di rovescio che porta Borg avanti 15-40 sul 7-6, di nuovo a un punto dalla vittoria. È l’occasione giusta per sfoderare il rovescio incrociato in risposta e celebrare il quinto trionfo consecutivo ai Championships. Finisce 1-6 7-5 6-3 6-7(16) 8-6. Il pubblico che lo fischiava all'ingresso in campo adesso lo applaude.
McEnroe si prenderà poi la rivincita nell’edizione 1981, quella delle multe record e della cena di gala saltata per stare con gli amici e la famiglia: sarà la prima volta che il vincitore del torneo non viene ammesso tra i membri onorari del club. "Nessuno può vincere sempre" commenterà Borg, anche se per tutta la vita gli hanno insegnato a cercare solo il successo. Una volta sconfitto, una volta compreso che a quella sua legge sarà costretto a obbedire, smette e si dedica ad altro. Nel ricordo di quei 22 minuti e di quelle 14 sfide che hanno cambiato per sempre la storia del tennis.
Ancora oggi, scrivono Mats Holm e Ulf Roosvald nel libro “Game, Set, Match”, Borg è convinto che quella vittoria a Wimbledon contro McEnroe sia stata il suo momento più bello. "All’inizio stai per vincere, poi per perdere, poi di nuovo per vincere. Vista nel complesso, è stata una finale divertentissima. In certi momenti è stata un calvario ma quella finale aveva tutto".