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Amarcord: Mansell, Ferrari e la prima vittoria di un cambio semi-automatico

Amarcord: Mansell, Ferrari e la prima vittoria di un cambio semi-automatico

Il 26 Marzo 1989 la Ferrari 640 F1 si aggiudica sul circuito di Jacarepagua il Gp del Brasile con Nigel Mansell (all'esordio con la Rossa) diventando così la prima monoposto nella storia della Formula 1 ad aver vinto una gara con il cambio semiautomatico.

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Un successo destinato ad entrare nella storia della Formula 1. La vittoria ottenuta dal pilota inglese Nigel Mansell (appena approdato in Ferrari dopo i trascorsi in Lotus e Williams) il 26 Marzo 1989 sul circuito brasiliano di Jacarepagua non può essere paragonata in alcun modo alle altre vittorie conseguite dal Leone d'Inghilterra nell'arco della sua carriera in Formula 1: non solo, infatti, quella vittoria è stata la prima delle tre conseguite con la tuta della Rossa nel biennio 1989-1990, ma sopratutto viene ricordata perchè è stata la prima vittoria ottenuta nella storia della Formula 1 da una monoposto che montava un cambio semi-automatico. Una soluzione, quella del cambio semi-automatico, oggi di fatto presente su tutte le monoposto, ma che all'epoca dei fatti rappresentava, come vedremo, una soluzione a dir poco rivoluzionaria e che proprio per questo all'inizio non mancherà di causare diversi problemi sul fronte dell'affidabilità.

LE NOVITÀ TECNICHE DELLA STAGIONE 1989.

Un'annata, quella 1989, del Mondiale di Formula 1, che viene ricordata dagli appassionati per via di alcune novità tecniche introdotte a partire da quell'anno.
La più significativa riguarda i motori, con l'abolizione del turbo e l'adozione dei motori aspirati, i quali dovevano avere una cilindrata massima di 3500 cm³ e un numero di cilindri massimo pari a 12. Una decisione, quella di abolire i motori turbo, legata all'incidente che costò la vita il 15 Maggio 1986 sul circuito francese del Paul Ricard al pilota romano della Brabham Elio De Angelis, e che la FISA (l'attuale FIA) prese autonomamente senza consultare le squadre avvalendosi della deroga sulla sicurezza prevista dall'allora Patto della Concordia. Una decisione, questa, che mette i motoristi delle varie squadre davanti a una doppia strada: usare i V8, dotati di minore potenza ma avvantaggiati dalle dimensioni più piccole, e un V12 dotato di maggior potenza, ma anche più ingombrante. Se Honda (per McLaren) e Renault (per Williams) optano per un inedito V10 (destinato poi negli anni successivi a diventare la soluzione principe in Formula 1), Ford, Judd e Yamaha dotano le rispettive squadre di un motore V8. Diversa, infine, la scelta Ferrari e Lamborghini (per Lola), con i due motoristi italiani che optano per il V12.

Sempre sul fronte tecnico, spicca il cambio semi-automatico introdotto da John Barnard sulla Ferrari 640 F1 (soprannominata papera per via della forma del muso, che ricordava per l'appunto il becco di un papero): se fino a quel momento in Formula 1 si correva con il cambio tradizionale, sulla Rossa ecco comparire due levette dietro al volante, che vanno a sostituire di fatto il cambio usato in precedenza. La levetta sulla destra serve ad aumentare le marce, quella a sinistra a scalare le marce.

Una soluzione, questa, che già sul finire degli anni 70 la scuderia di Maranello aveva cominciato a studiare con l'Ing. Mauro Forghieri testando su una 312T3 laboratorio del 1978 la possibilità di poter introdurre un cambio elettroidraulico, con le marce inserite da due pulsanti il cui compito era quello di attivare o meno delle valvole elettromagnetiche, le quali a loro volta avrebbero dovuto azionare i pistoni del cambio. Purtroppo questa soluzione non vide mai la luce a causa dell'elettronica che all'epoca non consentiva una soluzione così sofisticata. C'era solo d'aspettare, e così alla fine dieci anni dopo con una elettronica decisamente più evoluta, questa soluzione può finalmente debuttare sulla Rossa.

Una soluzione, piuttosto sofisticata, quella del cambio semi-automatico, ma ancora da affinare, e, come spesso avviene in questi casi a pagare è l'affidabilità: se da una parte guidare con le levette del cambio dietro al volante consente ai piloti (Nigel Mansell e Gerhard Berger) di potersi concentrare maggiormente sulla guida riducendo al minimo gli errori, dall'altra la soluzione si rivela piuttosto fragile, con numerosi stop nell'arco dei test precampionato. La fiducia in questa soluzione così innovativa è scarsa, a tal punto che alla vigilia della prima gara in Brasile non solo all'interno del paddock si scommette su quanti giri in gara riusciranno a completare le due Rosse, ma addirittura lo stesso Mansell non esita a prenotare un aereo di ritorno per la domenica pomeriggio brasiliana , sicurissimo di non riuscire a finire la gara. La realtà, come vedremo, sarà un po' diversa da quella che tutti si aspettavano.

MANSELL E LA VITTORIA INASPETTATA.

Le qualifiche del Gp del Brasile, gara inaugurale della stagione 1989, vedono la pole dell'idolo di casa nonché campione del mondo uscente, Ayrton Senna (1'25”302), che, a bordo della sua McLaren motorizzata Honda rifila oltre otto decimi alla Williams motorizzata Renault di Riccardo Patrese (1'26”172), che per poco è riuscito a precedere la Ferrari di Gerhard Berger (1'26”271). Più staccate la Williams-Renault di Thierry Boutsen (1'26”459), la McLaren-Honda di Alain Prost (1'26”620) e la Ferrari di Nigel Mansell (1'26”772).

Nonostante il gap presente tra Senna e Prost, nel paddock sono loro due i favoriti per la gara. Elemento, questo, che viene rinforzato ancor di più dall'esito del warm-up della domenica mattina, che vede in testa proprio le due McLaren motorizzate Honda, con il Professore che con il tempo di 1'32”274 rifila ben mezzo secondo al compagno di squadra brasiliano (1'32”797). A oltre 1 secondo la Williams di Patrese (1'33”296), con un millesimo di vantaggio sulla Brabham-Judd di Brundle (1'33”297), seguito a sua volta dalla March-Judd di Gugelmin (1'33”346). In difficoltà le Ferrari, con Berger decimo (1'33”760) e Mansell addirittura nei bassifondi della classifica a causa della scarsa affidabilità del cambio che non consente ai piloti del Cavallino di ultimare il giro di riscaldamento sia sulla vettura da gara, sia sul muletto (nel caso di Mansell).

La gara, però, a sorpresa, riserverà fin da subito un altro scenario: Patrese e Berger riescono a partire meglio di Senna, e così affiancano il pilota brasiliano alla prima curva. Patrese riesce a superare indenne Senna, il quale va a toccare la Ferrari di Berger, con la Rossa costretta al ritiro. Il pilota brasiliano torna ai box, ma la sua gara di fatto è compromessa: il danno al muso riportato dalla sua monoposto richiederà un pit stop piuttosto lungo da parte dei meccanici della McLaren, i quali riusciranno comunque a riportarlo in pista, dandogli così modo di conquistare l'undicesimo posto finale. Alcuni detriti della monoposto di Senna colpiscono la Williams di Boutsen, che perde così lo specchietto retrovisore destro. Per il pilota belga sarà comunque una gara da dimenticare: al terzo giro, infatti sarà costretto a parcheggiare la sua Williams sull'erba a causa di un problema al motore. Dietro a Patrese, quindi, si posiziona il duo costituito da Mansell (Ferrari) e da Prost (McLaren). Sono loro tre i candidati alla vittoria, non avendo gli altri il passo per poter competere con loro. Al 14° Giro Prost si ferma per la prima sosta, Mansell prosegue, e al 16° Giro supera Patrese conquistando la testa della gara. Al 20° Giro è la volta del pilota inglese effettuare la prima sosta, e così torna in pista subito dietro Prost, che nei giri successivi riuscirà comunque a passare. Chi invece non si ferma è Patrese: la Williams aveva scelto una strategia con sosta ritardata, che, alla fine si rivelerà essere un grave errore a causa delle alte temperature registrate quel giorno in pista. Non solo con il passare dei giri il pilota padovano scenderà sempre più in classifica fino a stabilizzarsi in sesta posizione, ma a dieci giri dal termine sarà costretto al ritiro per un problema all'alternatore. La gara si decide così tra Mansell e Prost, con il pilota inglese che in occasione della seconda sosta si vede costretto a dover sostituire il volante, avendo rilevato dei problemi ai comandi del cambio semi-automatico. Una volta, tornato in pista, il Leone inglese riesce a colmare il gap nei confronti del pilota francese della McLaren e a superarlo nel giro di poche tornate.

Mansell dunque, si aggiudica il Gp del Brasile, con 7”809 di vantaggio su Prost. Terzo il pilota brasiliano della March-Judd Mauricio Gugelmin, a 9”370 dal vincitore. In zona punti anche il debuttante pilota inglese della Benetton-Ford, Johnny Herbert (a 10”493 dal vincitore), Derek Warwick sulla Arrows-Ford (a 17”866 dal vincitore), con a pochi decimi Alessandro Nannini sulla seconda Benetton-Ford a 18”241 dal vincitore.

Singolare l'episodio che occorre in occasione della premiazione del podio a Nigel Mansell, il quale alzando il trofeo dalle colonnette di cristallo che sorreggevano la coppa e non dalla base in legno finisce con il ferirsi con gli intarsi piuttosto affilati che erano presenti all'altezza delle colonnette. Per il pilota inglese è necessario scendere un momento dal podio per farsi medicare, e poi risalire per festeggiare un trionfo assolutamente inaspettato alla vigilia.

Una vittoria, quella di Mansell a Jacarepagua in quella che sarà l'ultima edizione del Gp del Brasile ospitata dal circuito (dal 1990 la gara si sarebbe disputata sul nuovo circuito di Interlagos) che non sarà isolata: il 13 Agosto 1989 in Ungheria il pilota inglese partendo dalla 12° posizione darà vita a una rimonta sulla carta impossibile su un circuito come quello dell'Hungaroring dove sorpassare è impossibile, andando a vincere la gara. Lampi di luce, o meglio di gloria, in una stagione che a causa della carente affidabilità riserverà poche gioie alla Rossa di Maranello. Sarà sopratutto il cambio a riservare non pochi grattacapi agli uomini in Rosso, con lo stesso Mansell costretto a ritirarsi dopo la vittoria in Brasile per ben 4 gare consecutive.

I problemi però vengono risolti nell'arco della stagione, e proprio quel cambio semi-automatico diventerà la base della nuova Ferrari 641, che nel 1990 con Alain Prost (appodato a Maranello al posto di Berger, passato in McLaren) lotterà per il titolo contro Senna.
Una soluzione, quella del cambio semi-automatico ideato dalla Ferrari, che, dopo le prime critiche, verrà progressivamente adottato dalle altre squadre (la McLaren lo inserirà per la prima volta sulla MP 4/7A del 1992) diventando un elemento solido della F1 moderna, utilizzato ancora oggi da tutte le squadre. Ma questa, come direbbe Michael Ende, è un'altra storia.

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