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A quasi 40 anni dall'acquisto del Milan Silvio Berlusconi è definitivamente uscito dal calcio, due anni dopo la morte e sette dopo aver preso il Monza per motivi mai davvero chiariti, anche se a noi romantici piace credere a un regalo per Galliani (costato tutto compreso più di 200 milioni di euro). Sta di fatto che dopo mesi di ‘manca soltanto la firma’ adesso la firma è arrivata: Beckett Layne Ventures ha acquistato dalla Fininvest l’80% del Monza e presto acquisterà il resto, con i soliti progetti destinati a scontrarsi con la realtà di un territorio in cui tutti tifano Inter, Milan o Juventus, e senza nemmeno l’hype del lago di Como per inventarsi una narrazione vippistica-turistica. La fine calcistica di Berlusconi è anche quella di Galliani, che non farà parte in alcuna veste del nuovo Monza ed è impossibile immaginare al Milan, in questo Milan, con un incarico operativo. Non c’entrano gli 81 anni, ma proprio la filosofia di fondo: la vittoria a ogni costo, con i soldi da recuperare in altri tavoli, contro l’equilibrio dei conti per valorizzare il club e rivenderlo. Va da sé che i tifosi del Milan, del Monza e di qualsiasi altra squadra del mondo voterebbero Berlusconi e Galliani.
Da decenni all’amico del cognato di nostro cugino risulta che Agnelli vogliano vendere la Juventus, ma le cose sono sempre andate diversamente e pensiamo che funzioni così anche questa volta. Ciò non toglie che nel club bianconero si stia verificando una situazione strana con il secondo azionista, Tether, che dopo il prossimo round di finanziamenti potrebbe valere 500 miliardi di dollari, almeno dieci volte più di Exor. Elkann in questo momento non vuole vendere, pur essendo l’Italia sempre meno importante nelle strategie del gruppo, ma è certo che l’attivismo di Tether (i cui creatori sono italianissimi e juventinissimi) gli dia fastidio, come dimostra il fatto che continui a ignorare quelli che con il 10% sono i secondi azionisti del club.
Cosa c’è dietro al PGMOL all’italiana nei progetti di Gravina? Lo scenario, rivelato nei giorni scorsi dal Corriere dello Sport, nella migliore delle ipotesi spaccherebbe l’AIA, separando anche in maniera formale gli arbitri di élite dagli altri, con un concetto molto vago di élite se si guarda proprio al modello inglese che arriva fino alla League Two, quindi al quarto livello. E nella peggiore? Significherebbe un controllo diretto dei club sugli arbitri, anche se fra i proprietari del PGMOL (Professional Game Match Officials Limited) c’è anche la federazione inglese, oltre a Premier League e Football League. Tutto sarebbe addirittura auspicabile se le leghe fosse formate da membri di uguale dignità e prospettive, ma come diceva Vasco Rossi “Non siamo mica gli americani”.
stefano@indiscreto.net
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