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L’annuncio dei 30 candidati al Pallone d’Oro, soprattutto negli anni dispari, è il pretesto per fare il punto sullo status di certi paesi e di certe squadre, più che su quello dei giocatori. Comunque nei 30 annunciati da France Football c'è un solo italiano, ovviamente l'unico del girone dei fuoriclasse, un Gigio Dommarumma decisivo (tranne che nella finale) per la vittoria della Champions League da parte del suo PSG. La Serie A è rappresentata soltanto da stranieri: chi c'è (Lautaro Martinez, McTominay, Dumfries) e chi è andato via da poco come Kvaratskhelia. Il fatto che il PSG campione d'Europa abbia diversi protagonisti sullo stesso piano, così come il Chelsea campione del mondo, lavora a favore di chi colpisce l'immaginario collettivo come Yamal, che potrebbe vincere per 15 anni di fila, mentre a questo giro il favorito sembra Dembelé, con Donnarumma che qualche chance ce l'ha nonostante il 2025 dell'Italia di Spalletti. Nella classifica per club più di un giocatore fra i 30 hanno soltanto PSG (addirittura 9: Dembelé, Donnarumma, Douè, Hakimi, Kvaratskhelia, Fabian Ruiz, Nuno Mendes, Vitinha e João Neves), Barcellona (4: Lewandowski, Raphinha, Pedri e Yamal), Liverpool (4: Van Dijk, MacAllister, Salah e Wirtz appena arrivato dal Bayer Leverkusen), Real Madrid (3: Bellingham, Mbappé e Vinicius), Arsenal (Gyokeres, appena arrivato dallo Sporting Lisbona, e Rice), Bayern Monaco (Kane, Olise) e Inter (Lautaro Martinez e Dumfries). Molto meglio l'Italia va fra gli allenatori, con Maresca e Conte nella cinquina finale, Conte fra l'altro unico dei cinque (gli altri Luis Enrique, Slot e Flick) a non aver fatto le coppe, a riprova della sua credibilità.
Retrocedere in B può essere per qualcuno un buon affare: si prendono i soldi del cosiddetto paracadute, legati alla presenza in serie A nelle ultime stagioni, e adesso si trovano anche i contratti dei calciatori tagliati in automatico del 25%, con la maggior parte di loro spinta ad andarsene liberando quindi i club del 75% residuo. L’accordo collettivo fra l’AIC e la Lega di A, con effetti sui contratti firmati dalla prossima sessione invernale di mercato in poi, parte da una premessa giustissima (non si può fare la Serie B con gli incassi della B e le spese della Serie A) per arrivare a uno scenario in cui in certi casi la retrocessione non soltanto sarebbe indolore, cosa già sbagliata perché senza l’importanza del risultato il calcio è morto, ma quasi auspicabile per fare un po’ di pulizia. Per dire, di solo paracadute Empoli e Monza (inutile ricordare la loro seconda parte di stagione, al di là della retrocessione) hanno incassato 25 milioni a testa.
Ai fallimenti di squadre storiche si è aggiunto anche quello della SPAL, che sul campo aveva preservato la sua permanenza in Serie C vincendo il playout contro Milan Futuro ma fuori dal campo è stata cancellata da anni di cattiva gestione, una decina di milioni di debito (in Serie C è il budget per 6 o 7 stagioni) e altre situazioni, oltre alla sostanziale indifferenza di un’imprenditoria locale che nell’Italia di oggi, non soltanto a Ferrara, ha meno convenienza nel buttare soldi nello sport. Non stiamo facendo l’elogio del nero anni Ottanta e Novanta, ma spiegando perché con la tracciabilità di ogni movimento e principi contabili sopra il livello della decenza non ci siano più i munifici patron di una volta e i fallimenti anche per relativamente pochi soldi si moltiplicano. E nemmeno geniali uomini di calcio come Paolo Mazza, che pur senza grandi capitali riusciva a tenere la SPAL ad alto livello (un anno fu addirittura quinta in Serie A, con la squadra di Armando Picchi, di Pandolfini e della bandiera Massei) grazie a quello che oggi si chiamerebbe player trading: uno che ne capiva e che complice il suo rapporto privilegiato con la FIGC guidò l'Italia al Mondiale 1962. I Tacopina della situazione (aveva rilevato il club nel 2021) ci provano, ma se la cosa non funziona considerano il club calcistico un’azienda come le altre: stop loss e addio. In ogni caso per la SPAL, senza sottilizzare sulle varie denominazioni, si tratta del terzo fallimento negli ultimi 20 anni, tutte e tre in Serie C. Categoria in cui, diversamente da A e B, i conti non tornano nemmeno a chi fa scelte giuste e oculate (non è stato comunque il caso della SPAL).
stefano@indiscreto.net
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