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La morte di Sergio Campana, a 91 anni, è stata giustamente raccontata come quella di un uomo che ha fatto la storia del calcio italiano, come fondatore nel 1968 e anima per i successivi 43 anni dell'Associazione Italiana Calciatori, un sindacato spesso sbeffeggiato da chi non conosce la realtà non diciamo della Serie C ma anche di certi club di A con le loro formule di pagamento creative e le loro poco velate minacce: in quale settore dell'economia i dirigenti chiedono di spalmare l'ingaggio sugli esercizi successivi, passando anche per maghi della finanza? Magari con il supporto di ultras attenti ai bilanci, a partire dal proprio.
Certo è che il calcio di oggi c'entra pochissmo con quello in cui Campana è stato prima buon calciatore di Serie A e poi avvocato di cause quasi sempre vinte. La più importante di tutte le altre messe insieme fu quella riguardante la firma contestuale, cioè l'assenso (anche in presenza di vincolo sportivo) del giocatore come condizione necessaria per un trasferimento. Prima del 1978 il giocatore poteva infatti essere ceduto, al di là del suo contratto (tanto comunque contava il cartellino) anche contro la propria volontà, avendo a disposzione soltanto un'alternativa e cioè quella del ritiro. Va da sé che i calciatori più forti conveniva sempre prenderli con le buone, per non far diminuire il loro prezzo di mercato, ma la classe media doveva fare le valigie e partire a seconda delle lune di un presidente o di un direttore sportivo.
Chiaramente una situazione illegale, se non in sistemi chiusi e con questa clausola esplicitamente inserita nei contratti (nella NBA di oggi, ad esempio, è così: sono pochissimi i giocatori che possono opporsi a un trasferimento), ma che era la realtà del calcio italiano e di gran parte del mondo ancora alla fine degli anni Settanta. Nel 1975 Campana iniziò questa battaglia, con l'ostilità ovvia dei proprietari dei club, e quella meno ovvia di media e tifosi: chi ha una certa età ricorda l'espressione 'sindacato dei nababbi' usata comunemente dai giornalisti. Suo interlocutore principale Franco Carraro, all'epoca presidente della Lega in attesa di diventarlo della FIGC (1976) e poi del CONI (1978), un Carraro contrarissimo.
Ad accelerare la svolta non furono soltanto le minacce di sciopero, ma anche il caso Virdis, visto che nell'estate 1977 l'allora ventenne attaccante del Cagliari, reduce da un grande campionato di B con promopzione sfiorata, rifiutò il trasferimento alla Juventus, che già aveva versato i 2 miliardi di lire alla società di Delogu. Boniperti e il Cagliari avevano dato per scontato il gradimento di Virdis, che in effetti gradiva la Juventus e avrebbe detto di sì ai bianconeri poche settimane dopo, e non si erano preoccupati né della sua firma (che del resto non serviva) né del suo parere, comportamento questo che aveva fatto arrabbiare l'orgoglioso Virdis, al di là dell'attaccamento nei confronti della propria terra.
Mai stata per Virdis, che stava vivendo un mopmento difficile visto che gli era appena morto il padre, una questione di soldi come ovviamente fu scritto: semmai per qualche giorno vagheggiò di diventare il leader di un nuovo Cagliari da scudetto visto che Gigi Riva stava mettendo insieme una cordata, poi rivelatasi fumo, per rilanciare il club. In quei giorni convulsi, in cui tutti (anche i familiari) facevano pressioni sul ragazzo perché accettasse il trasferimento, Virdis disse testuale "Sono pronto a lasciare il calcio". L'unico a stare dalla sua parte Campana, più ancora dei colleghi di Virdis che nel grande club ci sarebbero andati di corsa e senza farsi problemi nell'essere trattati come oggetti..
La firma contestuale sarebbe diventata una realtà nel maggio dell'anno successivo, aprendo la strada alla Legge 91 di tre anni dopo (con il calciatore che diventava lavoratore subordinato), cambiando il calcio al livello di quanto a fine 1995 l'avrebbe cambiato la sentenza Bosman. Ecco, Campana aveva intuito prima di molti suoi assisititi i veri effetti della Bosman, non solo lo svincolo gratuito a fine contratto, quindi la fine dell'era dei parametri e un bel vantaggio per i calciatori, ma anche la trasformazione della Serie A in un campionato per stranieri di basso livello, in proporzione meno costosi, meno pretenziosi e meno interessati ad una libertà che danno per scontata.
stefano@indiscreto.net
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