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L'Arabia e l'orgoglio di Inzaghi© Getty Images

L'Arabia e l'orgoglio di Inzaghi

Quattro anni di Inter, Sinner come il calcio, il marchio su Stroppa, il caso Acerbi, l'era Comolli e il ritorno di Sarri

2 giorni fa

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Simone Inzaghi non è più l’allenatore dell’Inter: una scelta che si presta a poche analisi perché è stata sua, con ancora un anno di contratto, ma anche evidentemente ispirata dalle condizioni in cui ha lavorato in questi quattro anni di Inter. Mostrando un grande calcio, vincendo tanto, rimanendo in lotta per tutto con avversari sempre diversi, stabilendo una connessione con San Siro che solo Herrera e Mourinho (ma giocando peggio e facendo spendere l'impossibile) hanno avuto all'Inter. Il problema è che Inzaghi è stato giudicato come se avesse la rosa del Real Madrid, quando banali addizioni dimostrano che l'Inter dal 2021 ha speso meno anche dell'Atalanta, per evidenti motivi. Che lo giudichino un allenatore come tanti nelle redazioni e nei bar ci può stare, il punto è che da mesi Inzaghi ha iniziato a pensare che questo fosse il giudizio anche di Marotta: bravo tecnico, ma non al punto di offrigli un contratto quinquennale. Da qui, per orgoglio e convenienza, la scelta precipitosa dei soldi dell'Al-Hilal. 

Jannik Sinner ha raggiunto e superato il calcio. Sinner, non il tennis che comunque beneficia del traino di un campione che raccoglie tifo non soltanto in Italia. Leggere i dati di ascolto della sua partita di ieri sera con Rublev, un ottavo di finale del Roland Garros stradominato contro il numero 15 del mondo, fa impressione: 6,3 % di share, con Eurosport 1 terzo canale nazionale in prima serata (un canale criptato…) e ovviamente primo canale pay con il 28,1%, con picchi di ascolto da oltre 1.300.000. telespettatori Da ricordare che sulla stessa Eurosport e per lo stesso Roland Garros, le sfide fra Nadal e Djokovic quasi mai andavano sopra i 30.000 spettatori (fra cui noi) di media. Questo per dire l’importanza del tifo, snobbata da molti che vogliono sembrare intelligenti ma in realtà alla base del successo dello sport.

Nessuno sa perché Giovanni Stroppa dovrebbe lasciare la Cremonese dopo la promozione in Serie A e soprattutto dopo il suo richiamo in servizio, per sistemare una squadra in condizioni peggiori rispetto a come l’aveva lasciata. Eppure per una qualche ragione Stroppa ha appiccicato addosso il marchio di allenatore di categoria e non quello di predestinato. Di sicuro le tre esperienze in A, con Pescara, Crotone e Monza, sono state brevi e poco intense, ma qualcosa dovrebbero contare anche le quattro promozioni (di cui tre in A) senza avere a disposizione dream team e cambiando più volte pelle anche se i luoghi comuni (‘zemaniano’ usato come insulto anche se gioca con il 3-5-2) gli sopravviveranno.

Chi ha ragione fra Spalletti e Acerbi? Il commissario tecnico della Nazionale che lo ha convocato di malavoglia per le partite di qualificazione mondiale con Norvegia e Moldavia, ma di fatto soltanto per marcare Haaland, o il difensore dell’Inter reduce dalla disastrosa finale di Monaco che ha rifiutato la convocazione? Ha ragione Spalletti, ma non per una presunta sacralità della maglia azzurra che tanti in passato hanno rifiutato chiedendo di non essere chiamati o inventandosi infortuni, mentre Acerbi ci ha messo la faccia. Ha ragione perché le convocazioni sono state diramate lunedì 26 maggio e anche precedute da diverse telefonate fra Spalletti e Acerbi, che non faceva parte della Nazionale da prima di Euro 2024. Lo Spalletti da Nazionale è finora stato un disastro ma una risposta nei tempi giusti la meritava.

Domani inizierà alla Juventus l’era di Damien Comolli direttore generale, responsabile sia della Juventus maschile sia del settore commerciale. Un super direttore sportivo ma anche un manager che si dovrà occupare di sponsor e simili, doppio ruolo abbastanza bizzarro in un gruppo dove i manager semi-disoccupati non mancano. Gerarchicamente sotto di lui Chiellini, maldestro gestore dell’operazione Conte, nominato Director of Football Strategy, qualsiasi cosa voglia dire. Facile osservare che l’ormai lontano Calvo, appena annunciato dall’Aston Villa, aveva alla Juventus qualche competenza di Comolli e qualcuna di Chiellini. Insomma, il progetto Giuntoli è finito ma Elkann non può esonerare sé stesso.

Il ritorno di Maurizio Sarri ha fatto felici tanti tifosi della Lazio, ma è chiaramente una soluzione di ripiego per un Lotito che lo scorso anno aveva indicato all’allenatore la porta d’uscita, anche se poi con dignità era stato lo stesso Sarri a dare le dimissioni con la squadra nona in classifica dopo 28 giornate, ma soprattutto dopo lo strepitoso secondo posto della stagione precedente. La tattica non c’entra, al di là del 3-4-2-1 della breve era Tudor e del 4-2-3-1 di Baroni, allenatore dell’anno o giù di lì fino alla penultima giornata. Ripiego anche per Sarri, che ha avuto la testa sul Milan sia in estate sia soprattutto quando la posizione di Fonseca è diventata a rischio. Ma in estate Cardinale era rimasto affascinato, non si sa perché, dalla figura di Fonseca, il mitologico ‘profilo internazionale’, mentre per la sua sostituzione aveva delegato con l’unico paletto di non impegnarsi per oltre sei mesi. A dicembre Sarri era la prima, seconda e terza opzione del Milan, spinto da Moncada ma apprezzato anche dagli altri, e aveva anche detto sì ma con la richiesta di un anno e mezzo di contratto, non sei mesi, con prolungamento automatico fino al 2027 in caso di una qualificazione Champions del Milan che considerava fattibilissima. Così si è arrivati a Sergio Conceiçao. E adesso cosa farà Sarri, a 66 anni, in una Lazio in buona parte simile a quella che ha lasciato, con giocatori che non lo guardavano in faccia? Farà Sarri, ma con la rosa attuale non è detto che basti.

stefano@indiscreto.net

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