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La spettacolare sconfitta con il Barcellona ha permesso di rendere ufficiale il movimento di calciomercato dell’anno: Carlo Ancelotti lascia il Real Madrid, o per meglio dire viene accompagnato alla porta da Florentino Perez (che però avrebbe atteso ancora un po' per l'annuncio), e a 66 anni va ad allenare il Brasile con l’obbiettivo unico del Mondiale 2026. Dal club più prestigioso del mondo alla nazionale più prestigiosa del mondo, ennesimo riconoscimento clamoroso per un allenatore che ad altissimo livello ha pochi rivali e che è stato ritenuto degno di allenare la nazionale della terra promessa del calcio, che mai si era affidata a uno straniero, con due eccezioni risalenti alla notte dei tempi e comunque con due tecnici come Platero e Joreca (affiancato da Flavio Costa) che già lavoravano in Brasile più una partita da asteriscare con Filpo Nunez (di fatto il suo Palmeiras sostituì il Brasile in una amichevole). Ancelotti no, Ancelotti arriva dall’Europa a volte imitata ma mai amata e quindi dovrà gestire anche un clima di ostilità che già in passato fece rinviare la firma. La voglia di riprendersi ciò che la sfortuna gli rubò nel 1982 e forse anche nel 1990 è tanta. Vinicius, Rodrygo e Endrick magari lo aiuteranno.
Come può una Lega seria dare per scontato che nessuna squadra italiana arrivi alla finale di Champions League? Cosa che dal 2015 al 2025 compresi è avvenuta ben 4 volte, con Juventus e Inter, ricordando inoltre le semifinali di Roma e Milan. Eppure nonostante la possibilità di uno spareggio scudetto, possibilità che è stata riproposta dal 2022 per darci almeno la speranza di un Super Bowl italiano e per evitare porcherie, siamo arrivati alla fine della stagione nel caos, con la sola ipotesi di uno spareggio che costringerebbe a stravolgere l’ultima giornata di Serie A, facendo anticipare di tanto le ultime partite di Napoli e Inter, in modo che la loro eventuale sfida diretta avvenga non oltre lunedì 26, a 5 giorni dalla finale di Champions fra Inter e PSG. Da notare che Ligue 1 e Bundesliga, campionati a 18 squadre, terminano il prossimo fine settimana, mentre Premier League e Liga terminano come la Serie A. E anche che in nessuna di queste quattro leghe sono previsti spareggi per il titolo.
I quarant’anni dello storico scudetto del Verona sono stati più volte giustamente celebrati e andando oltre l’impresa di Bagnoli, Elkjaer, Briegel, eccetera, tutto potrebbe essere attualizzato con una domanda: nel 2025 lo scudetto di un Verona della situazione sarebbe almeno immaginabile? La risposta è no. Quel Verona non era paragonabile a nessuna squadra di oggi, né alle provinciali che spendono soldi da Real Madrid come Como e Parma (quel Verona viveva degli scarti dei grandi club e di alcuni colpi mirati), né a quelle che annaspano e vivono alla giornata (quel Verona giocava bene da almeno tre anni, con il gruppo di Garella, Tricella, Marangon, Volpati, Fanna, Sacchetti, Di Gennaro, che poi sarebbe arrivato allo scudetto). Forzatissimi e sbagliati i paragoni con altri scudetti clamorosi, come quello del Cagliari dei 6 nazionali italiani ai Mondiali del 1970 o della Sampdoria di Mantovani che valeva e pagava come una grande tradizionale. Potrebbe evocare qualcosa di simile un campionato vinto dal Bologna o dalla Fiorentina attuali (Kean come Galderisi?), non l’Atalanta che ormai ragiona come una grande, ma oggi il sistema è troppo strutturato per consentire agli outsider di approfittare dei superfallimenti. Per avere un Leicester devono fallire davvero in tanti.
Quale futuro per Roberto De Zerbi? La qualificazione Champions ottenuta con il Marsiglia, e il probabile secondo posto in campionato dietro al PSG non possono far dimenticare le tante occasioni in cui il rapporto dell’allenatore con l’ambiente è stato al punto di rottura e anche oltre, fra dimissioni rifiutate, attriti con il direttore sportivo Benatia, periodi di amore e odio con i giocatori che si sono alternati, come ben sintetizzato dal ritiro a Roma che i media francesi non hanno gradito ma che alla fine ha dato ragione a De Zerbi, che ha contratto fino al 2027 ma anche l’aura di allenatore da progetto che gli consente di avere sempre mercato, anche se non il mercato di alto livello che pensano i suoi fan italiani, visto che negli ultimi anni panchine importanti come Chelsea e Bayern Monaco (per non dire Juventus e Milan) sono state date ad allenatori, come Maresca e Kompany, con curriculum inferiore rispetto a quello di De Zerbi. Che quest’anno ha fatto bene, ma certo non una cosa da Verona di Bagnoli: il Marsiglia ha infatti il secondo monte ingaggi della Ligue 1, quasi un terzo di quello del PSG ma davanti a quelli di Lione, Monaco e Lille. E le nuove proprietà, che ormai tanto nuove non sono, hanno pochi dirigenti che amano sentir dire ‘Il mio calcio’.
stefano@indiscreto.net
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