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Il PSG che il 31 maggio affronterà l’Inter nella finale di Champions è pieno di ex della Serie A, da Donnarumma a Kvaratskhelia, da Hakimi a Fabian Ruiz a Marquinhos, tutti pagati a peso d’oro (tranne Donnarumma, che arrivò alla fine del contratto con il Milan, dopo il vittorioso Europeo con Mancini) e tutti decisivi per un club che nel dopo Mbappé ha rinunciato alla politica delle figurine ma certo non a spendere cifre spropositate anche per giocatori normali come Pacho e Joao Neves, quindi figurarsi per lo Kvaratskhelia della situazione.
L’unico ex che la Serie A a suo tempo non ha apprezzato è Luis Enrique, che nel 2011 arrivò alla Roma appena passata dalla famiglia Sensi agli americani, con Thomas DiBenedetto come frontman iniziale. E gli americani, ma sarebbe giusto citare anche Walter Sabatini che loro avevano scelto come direttore sportivo, puntarono per la ricostruzione su questo ex giocatore che si presentava bene e che veniva mediaticamente collocato nel guardiolismo allora imperante, con tutti quei discorsi sul cosiddetto 'calcio associativo' (chi se li ricorda? Siamo al livello di zona-uomo) ma un po' di esperienza e pragmatismo in meno rispetto al maestro (si fa per dire, visto che Guardiola, suo ex compagno di squadra, è di un anno più giovane). Un Luis Enrique che però come allenatore aveva guidato soltanto la seconda squadra del Barcellona, rilevandola proprio da Guardiola e lasciandola in maniera frettolosa, pensando che l'era Guardiola sarebbe durata per sempre.
Nonostante un mercato sulla carta eccellente (Sabatini prese, fra gli altri, Stekelemburg, Kjaer, Heinze, Lamela, Pjanic, Bojan, Osvaldo) la Roma di Luis Enrique fu un disastro, rimanendo fuori dall’Europa, perdendo i derby e senza dare la sensazione di costruire qualcosa. Il tutto in mezzo a cambiamento societari, visto che dopo qualche mese tornò Baldini, e problemi di gestione del gruppo, con il litigio fra Osvaldo e Lamela, la presunta mancanza di rispetto nei contronti di Totti solo perché l'allenatore lo aveva sostitituito con Okaka contro lo Slovan Bratislava, la panchina punitiva per De Rossi, eccetera.
Fu lo stesso Luis Enrique a capire di essere ancora inadeguato e a farsi intelligentemente da parte, rinunciando a un anno di contratto e ripartendo un anno dopo dal Celta, per poi andare a vincere tutto ciò che si è visto fra Barcellona (Champions compresa, in finale sulla Juventus di Allegri) e PSG, facendo anche bene con la Spagna pur perdendo da un’Italia e da un Marocco in missione. Insomma, non si può dire che l’Italia cattiva e ignorante (nei siti di nerd per nerd si legge anche questo) non abbia capito Luis Enrique ma soltanto che lui ci è arrivato troppo presto. Poi è diventato uno dei migliori allenatori del mondo, con le sue idee ma apprezzando certe lezioni del calcio italiano, prendendole anche con fair play come accadde con Mancini a Wembley.
stefano@indiscreto.net
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