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In un mondo in cui tutto è storico, epico, indimenticabile, pronto a diventare un instant classic, forse quanto visto nella partita di ritorno fra Inter e Barcellona è stato davvero storico, epico, indimenticabile, pronto a diventare un instant classic. Almeno per i tifosi dell’Inter, che fra qualche anno ricorderanno Inter-Barcellona 4-3 nello stesso modo in cui gli italiani ricordano, a maggior ragione se non erano ancora nati e quindi ne hanno vissuto soltanto il mito, Italia-Germania Ovest 4-3 dell’Azteca. Ma nello sport conta soltanto il presente e nessuna squadra è più calata nel presente di quanto lo sia quella di Simone Inzaghi, per l’ennesima volta capace di tirare fuori il massimo da un gruppo molto ristretto che in mano al guru con maglioncino attillato, ma anche al mestierante pane e salame, si sarebbe sfasciato o comunque avrebbe perso contro un Barcellona che se non sarà soffocato dai debiti potrebbe anche vincere le prossime dieci Champions. Perchè la sensazione di superiorità data dai giovani fenomeni blaugrana, non solo Yamal comunque impressionante come maturità (e non è la prima qualità che viene associata a un minorenne, di solito), si è scontrata contro una squadra di livello tecnico inferiore ma in missione, capace di trovare il gol sempre e con chiunque, a maggior ragione quando ci sono in campo Dumfries e Thuram.
Diversamente dal Barcellona l’Inter però può vincere questa, di Champions, il 31 maggio a Monaco: terza finale europea dell’era Marotta, seconda di Champions di quella Inzaghi, e non c’è bisogno (o magari sì) di ricordare come dal 2021 ad oggi tutti i grandi e medi club italiani abbiano speso sul calciomercato più di un’Inter invischiata nei suoi debiti, nel fallimento o quasi degli Zhang, nello sfumare dello scenario Superlega che con il solo bonus di ingresso avrebbe sistemato tante cose. Non che il club nerazzurro stia incassando poco: dalla sola UEFA per questa stagione prenderà oltre 132 milioni di euro, che in caso di vittoria a Monaco sfiorerebbero i 150, a cui aggiungere i megaincassi di San Siro, i premi speciali degli sponsor e tutto l’indotto. Quanto ai giocatori, l’Inter è la prima squadra italiana per monte ingaggi, circa 141 milioni lordi e in Champions l’ottava, dietro al Real Madrid che quasi la doppia, al Bayern eliminato nei quarti, al PSG e all’Arsenal che troverà in finale, al Barcellona quasi inspiegabilmente (visto che Yamal ha un contratto inadeguato al suo status attuale) a quota 201 e al Liverpool. Insomma, Inzaghi arrivando ai quarti di finale avrebbe fatto il suo, ma certo vincere a Monaco non è un dettaglio e probabilmente concluderebbe, con il tempo supplementare del Mondiale, il suo ciclo e quello nerazzurro di tanti giocatori del presente, da Acerbi a Calhanoglu, da Mkhtaryan a Sommer, permettendo a Marotta di accettare proposte indecenti anche per giocatori fondamentali e più giovani. Perdendo a Monaco una partita da ‘ora o mai più’ (ma anche di Istanbul si diceva la stessa cosa) questo gruppo avrebbe invece una stagione di vita supplementare, una stagione con qualche ritocco centrata sullo scudetto.
Se sulla storicizzazione e sulla storicità delle partite bisogna sempre mettere un asterisco, per quanto riguarda il gol del 3-3 di Acerbi siamo sicuri che sarà riproposto in milioni di modi. Per il momento in cui è arrivato, per la forza della disperazione che lo ha generato, perché il difensore che si butta in avanti e segna con il piede sbagliato fa sempre storia (Burgnich, per tornare all’Azteca), perché Acerbi è il vero simbolo dell’Inter di Inzaghi. Come uomo sopravvissuto al cancro, come calciatore emerso tardi dalla medietà anche se già Conte lo teneva in considerazione per la Nazionale (campione d’Europa con Mancini, fra l’altro, sia pure non da titolare) e al Sassuolo e alla Lazio ha quasi sempre fatto il suo. Un sottovalutato di successo, come l'allenatore che più lo ha valorizzato. Che a 37 anni Acerbi sia il miglior difensore centrale italiano è una medaglia per lui ma non per il calcio italiano, che mitizza la cantera degli altri (o un fantomatico ‘calcio di strada’ che neppure Yamal, tesserato per la sua squadra attuale da quando aveva 7 anni, ha mai praticato) senza accorgersi che nel Barcellona crescono anche ottimi difensori.
stefano@indiscreto.net
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